E’ uscito in questi giorni il numero di giugno e luglio di Ski Alper, cifra tonda: è il centesimo. Nella consueta rubrica di Vitalia parliamo di running: meglio ammortizzati” o al naturale, con scarpe così minimal da farci sentire a piedi nudi? Ci sono pro e contro per ogni runner: valutate con attenzione quali sono le vostre caratteristiche. 

_MG_4600

C’è chi lo chiama barefoot running, natural running, pose running o chi running, ma la sostanza non cambia: la moda di correre con scarpe minimal sembra affascinare il mondo del trail. Il sogno di migliorare la tecnica di appoggio, ridurre gli infortuni e andare più forte spinge molti appassionati a orientarsi verso scarpe leggerissime con sistemi di ammortizzazione e stabilizzazione ridotti all’osso che promettono di far sentire il piede libero e a contatto con il terreno. Articoli di tecnica di corsa postulano teorie secondo le quali la suola pochissimo ammortizzata spinge il runner a correre meglio con appoggi sull’avampiede e con una frequenza di passi più alta. La teoria (e il messaggio di marketing delle aziende) su cui si è sviluppata questa tendenza è: l’uomo è nato scalzo e quindi è stato fatto per correre in maniera naturale, le calzature super ammortizzate hanno alterato la tecnica di corsa favorendo l’appoggio di tallone e addormentando la sensibilità del piede, ergo, riduciamo al minimo la suola e torneremo a correre come natura vuole. Affascinante? Sì. Vero? Vediamo.

IMG_1731

Per evitare di farci prendere da soggettivismi su base empirica del tipo ‘un mio amico che aveva male al ginocchio…, mio fratello che aveva la tallonite….’ , siamo partiti dai più recenti lavori scientifici pubblicati su riviste indicizzate (clicca qui per la bibliografia), ne abbiamo selezionati tre, li abbiamo letti e interpretati e riassunti nei punti salienti per presentarvi la versione più scientifica possibile della diatriba in maniera comprensibile.

Alcune doverose premesse

Primo punto: negli ultimi 50.000 anni l’uomo ha sviluppato calzature sempre più confortevoli adattandosi a esse. Dagli anni ’70 a oggi il numero di runner è aumentato esponenzialmente e molti di essi sono pesanti, non adeguatamente preparati muscolarmente o con problematiche biomeccaniche. Forse se non ci fossero le calzature ammortizzate i traumi sarebbero ancora più numerosi. Secondo punto: non c’è correlazione tra traumi e tipo di calzature. Sia che usino scarpe ammortizzate o minimal, l’eziologia degli infortuni risiede in complesse cause biomeccaniche. Terzo punto: non si possono trarre conclusioni univoche. Non lo permette la dinamiche delle cause e nemmeno la natura degli studi effettuati, che per di più sono stati condotti con modalità differenti (ad esempio su treadmill o su superfici fisse).

_MG_6236

La questione infortuni

Perché si dice allora che il barefoot running riduca gli infortuni? Il postulato di base trova il suo fondamento nel fatto che correre con una protezione minima o assente modifichi la tecnica di corsa portando il soggetto ad atterrare con il mesopiede o sull’avampiede. Ciò comporterebbe una miglior assorbimento delle forze di impatto e un miglior utilizzo della fascia plantare che agirebbe da ammortizzatore. Tale tecnica di corsa prevede anche un aumento della frequenza dei passi che dovrebbe essere di circa 170- 180/min. Il conseguente accorciamento della falcata comporterebbe angoli di lavoro meno accentuati nell’articolazione del ginocchio mentre aumenterebbe l’angolo di flessione plantare del piede. Purtroppo l’origine degli infortuni è molto complessa e dal punto di vista biomeccanico non sempre è possibile individuare un singolo fattore che sia assolutamente predittivo. Inoltre anche se così fosse non sarebbe facile correggerlo. Quali sono i più comuni infortuni del podista e come vengono influenzati da calzature minimal? Per semplificare le problematiche, i lavori analizzati hanno classificato le più comuni patologie da sovraccarico in cui incorrono i podisti confrontandole con i fattori predisponenti, su come essi vengano influenzati dal barefoot running e quindi sui potenziali risultati attesi.

tbaella skialper

La tabella qui sopra, che abbiamo pubblicato su Skialper, dimostra ulteriormente che alcune patologie possono essere aggravate mentre altre possono beneficiare dall’uso di scarpe minimal. Studiandola è evidente, e lo ripetiamo di nuovo, che le conclusioni sull’effetto del barefooot running nelle varie patologie non sono univoche. Nelle fratture da stress della tibia e dei metatarsi, un aumento della pressione nell’impatto con il suolo causato dal barefoot running può aumentare il rischio di incorrere in queste patologie. Nella sindrome femoro-rotulea, si ritiene che un miglior allineamento del ginocchio e minor forze di impatto grazie all’appoggio sul meso e avampiede tipici del barefoot possano essere di beneficio nel prevenire e nel favorire la regressione delle problematiche. Per quanto riguarda la caviglia e le patologie del tendine d’Achille, a fronte delle teorie a favore del minimal, fondate sulle considerazioni del passo più corto e con minori forze di impatto, si associa una maggiore flessione plantare e una più alta sollecitazione dell’Achille che verrebbe quindi esposto a un maggior rischio di patologie da sovraccarico. Nella fascite plantare si può invece ipotizzare che il rinforzo dei muscoli che sostengono l’arco plantare causato dal correre con poca ammortizzazione possa essere di beneficio, ma anche in questo caso la conclusione è che è necessario approfondire gli studi e le ricerche.

_MG_4393

Ad ognuno la sua scarpa

Si può modificare la tecnica di corsa? Conviene farlo? I pareri sono anche qui discordi: quello che senz’altro si deve consigliare è la gradualità nel passaggio da scarpe ammortizzate a calzature minimal. Soprattutto chi corre con appoggio sul retropiede deve fare particolare attenzione nelle prime fasi in quanto la tecnica di corsa richiede tempo per modificarsi e il rischio è quello di aumentare piuttosto che diminuire gli infortuni nella prima fase. Le nuove calzature andranno quindi utilizzate per brevi tratti di corsa, qualche centinaio di metri, alternati a tratti di camminata. Da uno degli studi pubblicati si evince comunque che non è detto che chi corre con appoggio sul tallone riesca a modificare stabilmente la sua tecnica di corsa e quindi potrebbe essere ancora più esposto al rischio di infortunio con le scarpe minimal. Alla luce di quanto esposto finora, si può affermare che se si è trail runner non più giovanissimi e con una struttura fisica non leggerissima, l’opzione barefoot diventa ancora più rischiosa: si pensi a quanto vengano sollecitate le strutture muscolo tendinee del polpaccio e le articolazioni metatarsali che, per effetto dell’età, tendono naturalmente a essere meno elastiche. Infine, non dimentichiamo che, soprattutto nei trail lunghi, la fatica tende a causare un rallentamento dei riflessi e delle reazioni muscolari ed in queste situazioni l’uso di calzature scarsamente protettive può aumentare il rischio di infortuni.

[button color=”blue” size=”small”]More[/button]

[list type=”plus”]

[/list]

Sull‘ultimo numero di Ski-alper, scaricabile nella versione digitale e già arrivato in edicola, parliamo delle patologie del ginocchio. Un’articolazione particolarmente sollecitata negli sport di montagna e un tema che richiederebbe un libro di ortopedia. Nell’articolo, che vi riproponiamo qui, abbiamo cercato di semplificare l’argomento per fornire qualche informazione pratica. Dedicato agli sci alpinisti ed ai runners doloranti: basta rimandare, ascoltate il vostro corpo…

_MG_9461

Nella corsa, come nello sci, il ginocchio è sollecitato sia in salita che in discesa

Com’è fatto e come funziona

L’articolazione del ginocchio è composta dal femore, dalla tibia e dalla rotula che si colloca nella parte anteriore dell’articolazione. Si inserisce cioè nel solco creato dalla conformazione della parte distale del femore ed ha lo scopo di facilitare l’azione del muscolo quadricipite nell’estendere la gamba. Tutte le superfici articolari sono rivestite di cartilagine per ridurre gli attriti tra un osso e l’altro. Tra i condili femorali ed il piatto tibiale si trovano due strutture fibrose tondeggianti, i menischi, che hanno anch’essi la funzione di assorbire i colpi proteggendo ulteriormente le cartilagini. La conformazione anatomica del ginocchio permette prevalentemente un movimento di flesso-estensione e, in misura molto minore un movimento di rotazione della tibia sul femore. I muscoli che generano questi movimenti sono quelli anteriori (il quadricipite femorale), attivi nell’estensione, e quelli della parte posteriore (bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso e gastrocnemio) che flettono il ginocchio gestendone anche l’intra e l’extrarotazione. A stabilizzazione ulteriore dell’articolazione concorrono infine i legamenti: i due crociati, anteriore e posteriore, con la funzione di limitare flesso-estensione e rotazione, ed i due collaterali con la funzione di stabilizzazione laterale. Infine, tutta l’articolazione è avvolta nella capsula articolare che è guaina di tessuto connettivo contenente le strutture anatomiche ed il liquido sinoviale che le mantiene lubrificate.

_MG_6323

Quando l’artrosi si aggrava basta camminare per avere male

Cause del dolore

Le patologie che causano gonalgia (dolore al ginocchio) possono originare da una o più delle strutture anatomiche che compongono l’articolazione e si possono dividere in patologie degenerative, patologie traumatiche e patologie da sovraccarico. Al primo gruppo appartengono le degenerazioni cartilaginee (condropatia), come l’artrosi. Il dolore generato da artrosi è più marcato la mattina, dopo il riposo notturno, dopo periodi di immobilità, ad esempio alzandosi dopo ore alla scrivania e tende a diminuire con il movimento almeno fintanto che la lesione cartilaginea è di entità modesta. Quando invece l’artrosi si aggrava per il progredire delle lesioni cartilaginee anche lo stare in piedi e il camminare accentuano il dolore. L’artrosi per degenerazioni delle cartilagini femoro-tibiali è una patologia frequente che colpisce soprattutto gli anziani e nelle fasi più gravi insorge anche il dolore notturno. La condropatia femoro-rotulea è invece più frequente nei giovani e si evidenzia con una lesione della cartilagine che ricopre la faccia interna della rotula. In questo caso, i movimenti che comportano un accentuato angolo di flessione del ginocchio in carico, come ad esempio salire o correre su un pendio ripido, causano dolore.

_MG_6956

Anche i giovani, in presenza di una condropatia femoro-rotulea, accusano forti dolori sui pendii ripidi

Il secondo gruppo è rappresentato dalle lesioni meniscali e legamentose. In questi casi, un trauma ha causato la rottura parziale o totale di un menisco o di un legamento. Il dolore è acuto ed è accentuato dal movimento. Nel caso di lesione meniscale, la flessione, l’estensione rapida e la torsione sotto carico provocano l’esacerbazione della sintomatologia. Inginocchiarsi o caricare velocemente l’articolazione può evocare sensazione di “cedimento”. Se la lesione meniscale è completa, il frammento mobile può andare ad “incastrarsi” nell’articolazione provocandone il blocco. Trascurare le lesioni meniscali può portare a danni della cartilagine femoro-tibiale con conseguenze ben più difficili da curare. Ovviamente le lesioni dei legamenti, totali o parziali, causano sintomatologie molto più importanti ed evidenti ed è quindi superfluo trattarle. Si può tuttavia dire che una lassità legamentosa può portare nel tempo a una lesione cartilaginea e/o meniscale per un’insufficiente stabilizzazione dell’articolazione durante i movimenti.

Nel terzo gruppo di patologie che causano dolore troviamo quelle a carico dei tendini: rotuleo, zampa d’oca, quadricipitale. Il dolore causato dalle tendionopatie è causato dall’attività fisica e si manifesta soprattutto a freddo, dopo aver interrotto l’esercizio. Tipico è il caso in cui, dopo la gita o l’allenamento ci si rimette in macchina per un’ora e, alla prima sosta, scendendo dall’auto si avvertirà dolore e impedimento funzionale: nella parte anteriore del ginocchio per tendiniti del rotuleo o del femorale o nella parte postero – interna per tendiniti della zampa d’oca.

_MG_7674

Il dolore, nelle tendinopatie, si manifesta a gita finita: non durante lo sforzo

Cosa fare

Ovviamente le soluzioni prospettate non vogliono sostituire le terapie che saranno prescritte da uno specialista dopo la visita e gli eventuali esami di approfondimento richiesti (RX, Ecografia, RMN). Ricalcando la suddivisione delle patologie nei gruppi si può tuttavia dire che le degenerazioni cartilaginee e l’artrosi traggono beneficio da infiltrazioni di acido ialuronico eventualmente associato a cortisonici o della nuova molecola HYADD4 (esadecilammide di sodio ialuronato) che dovrebbe offrire maggiori risultati di durata e di efficacia nei casi di condropatia dello sportivo. L’infiltrazione di queste sostanze a base di acido ialuronico, che hanno proprietà lubrificanti e viscoelastiche, migliora la mobilità e la sintomatologia dolorosa. Nei casi di lesioni cartilaginee di piccole dimensioni e limitate alle superfici femoro-tibiali, l’infiltrazione con gel piastrinico (ottenuto dalla centrifugazione e separazione di 10 cc di sangue prelevati dal soggetto stesso) sta dando buoni risultati (ne parliamo qui). Infine, come ci dice il Dott. Riccardo Ferracini del CTO di Torino: “L’utilizzo di cellule staminali mesenchimali prelevate dal grasso addominale del soggetto e ottenute per centrifugazione e associate con il gel piastrinico genera del tessuto fibroso che ricopre i capi articolari in sostituzione della cartilagine danneggiata e può risolvere problemi di lesioni più vaste”.

_MG_6084

Su strada e in montagna, la corsa può creare problemi ai tendini. Qui tutti i consigli per prevenirli

Il mantenimento del tono muscolare con esercizi di rinforzo e l’attività aerobica a basso carico articolare (cyclette) sono utili nel mantenimento della funzionalità generale. Lesioni meniscali parziali o meniscosi possono anch’esse guarire con il processo ripartivo innescato dall’infiltrazione di gel piastrinico grazie ai fattori di crescita in esso contenuti. Lesioni totali e con frammento mobile sono invece di interesse chirurgico. Anche in questi casi, tuttavia, il mantenimento della forza muscolare è imperativo sia in vista di un eventuale intervento, sia nella fase riabilitativa. Quando invece sono i tendini a far male, sarà l’ecografia a guidare il tipo di terapia da adottare. Semplici infiammazioni potranno essere curate con ghiaccio, esercizio di rinforzo eccentrico (più carico nella fase di allungamento del muscolo), antiinfiammatori e riposo. Infiammazioni con essudato peritendineo e piccole calcificazioni rispondono bene alle onde d’urto sempre in associazione a crioterapia e esercizi di rinforzo. Infine, nel caso in cui l’ecografia evidenzi calcificazioni e le onde d’urto si dimostrino inefficaci, prima di ricorrere alla terapia chirurgica, l’infiltrazione con gel piastrinico è ancora il trattamento più efficace. In ogni caso è bene tuttavia ricordare che il dolore è il segnale che il corpo ci invia e come tale non deve essere ignorato: ricorrere agli antidolorifici per continuare ad allenarsi è quanto di più sbagliato si possa fare e inevitabilmente conduce ad un aggravamento del problema.

[button color=”red” size=”small” link=”http://www.skialper.it/SkialpRace/Articolo/6172/in-uscita-il-nuovo-libro-in-forma-per-lo-scialpinismo.html”] “In forma per lo sci alpinismo”, il libro sul metodo Vitalia per ski-alper. Puoi ordinarlo cliccando qui[/button]

 

[button color=”blue” size=”small”]More[/button]

 

[list type=”plus”]

[/list]

E’ in edicola il nuovo Outdoor Running (qui puoi vedere il video di presentazione), numero speciale della rivista Ski-Alper dedicato al trail. Come sempre trovate la rubrica firmata Vitalia, questa volta dedicata alle tendiniti del podista: vogliamo ora approfondirla e cercare di spiegarvi alcuni esercizi (tranquilli: c’è la video dimostrazione!). L’argomento è delicato e ne avevamo già parlato qui, suggerendovi alcune terapie. Non dimenticate che il consiglio migliore è quello personalizzato e quindi rivolgetevi ad uno specialista!

Che cosa fare nella riabilitazione delle tendiniti dell’Achille?

Certo va capita la gravità della tendinopatia, ma in molti casi vale la regola: l’esercizio è il miglior farmaco. Ci si può insomma curare con il rinforzo muscolare e il principale esercizio è rappresentato dal sollevamento sull’avampiede: si comincia in appoggio su entrambi i piedi, ci si solleva e si ritorna alla posizione di partenza con un solo piede. Questo permette di sollecitare il muscolo, e quindi il tendine, con una contrazione eccentrica (abbassamento) in cui il carico è maggiore rispetto a quello esercitato nella fase di contrazione concentrica (sollevamento). L’ampiezza del movimento sarà dettata dal dolore in quanto ci si dovrà fermare nella discesa pochi gradi dopo la sua insorgenza. La velocità di esecuzione deve essere sempre lenta e controllata, evitando i rimbalzi.

Sarà opportuno svolgere l’esercizio sia a ginocchia distese che a ginocchia semiflesse. In tal modo si solleciteranno le fibre del gastrocnemio (ginocchia estese) e del soleo (ginocchia semiflesse).

Gli esercizi illustrati fanno parte del protocollo riabilitativo di Alfredson che è al momento quello con maggiori evidenze mediche.

Al variare del dolore (diminuzione o scomparsa) si assoceranno lavori di propriocettività e reattività muscolare del piede con andature in rullata (tallone-punta) ed esercizi in spinta sull’avampiede.

Buon allenamento! E non dimenticatevi i fondamentali: mettete sempre il ghiaccio e verificate di aver scelto le scarpe giuste!


[button color=”blue” size=”small”]More[/button]

[list type=”plus”]

[/list]

Qualche giorno fa ho scritto che la corsa è uno sport “stupido”, era chiaramente una provocazione e non intendevo certo offendere i praticanti di questa disciplina verso cui nutro passione e rispetto. Volevo piuttosto sottolineare che la corsa richiede metodo e applicazione e che non c’è spazio per improvvisazione e fantasia.

In questo periodo di inizio autunno che precede le grandi maratone di ottobre e novembre, ogni sportivo dovrebbe infatti conoscere con una buona approssimazione i valori della propria prestazione ed usarli per ogni allenamento.

running-78192_1280

Essenzialmente i dati da controllare sono la frequenza cardiaca e il passo al km.

Attraverso test di laboratorio e da campo è infatti possibile conoscere con buona precisione a che velocità e FC impostare i lunghi, i medi e le ripetute.

I lunghi devono infatti essere svolti ad una velocità pari all’80-85% della velocità di soglia ed a una FC compresa tra i 75 e l’80% di quella di soglia.

I medi devono invece essere corsi a velocità pari al 90-93% della velocità di soglia con una FC del 90% circa di quella di soglia.

Le ripetute, parliamo di quelle sui 1000 m, infine devono essere corse a velocità e FC di soglia.

Ma come determinare questa fantomatica soglia anaerobica?

Sicuramente il metodo migliore è rappresentato dal test incrementale con misurazione del lattato, ovvero della concentrazione di acido lattico nel sangue.

E’ noto infatti che man mano che aumenta la velocità di corsa, aumenta la quantità di lattato nel sangue. Questo parametro ha un andamento che dipende da caratteristiche individuali e dal tipo di allenamento svolto.

L’analisi della curva del lattato e della frequenza cardiaca saranno interpretate dal tecnico e forniranno una precisa “fotografia” della situazione individuale e orienteranno il piano d’allenamento.

Al podista non resterà che armarsi di cardiofrequenzimetro, magari con GPS ed iniziare a correre rispettando i numeri.

Mettendo da parte la fantasia.

[button color=”blue” size=”small”]More [/button]

[list type=”plus”]

[/list]

Contattaci per avere informazioni sul test del lattato svolto nel nostro centro