Prepararsi per una maratona richiede impegno, disciplina e un piano di allenamento ben strutturato. Ne abbiamo parlato con il team di Vitalia che da anni prepara maratoneti, trail runner e sportivi di endurance di vario livello con VAT (Vitalia Adaptive Program). Ecco alcuni dei suggerimenti che ci hanno dato per aiutarti ad arrivare in forma ai 42 km.

Dottor Massarini, da dove comincia il percorso per la Maratona?

Rispondo da medico: ovviamente da una visita completa con spirometria e elettrocardiogramma sotto sforzo per verificare che non ci siano problemi medici.

Sarebbe anche opportuno aggiungere un esame del sangue per individuare da subito eventuali carenze di ferro, anemie e altre anomalie che potrebbero essere corrette con terapie mediche o integratori.

E poi?

Superato questo step ci si può focalizzare sulla valutazione della capacità fisiche con test specifici per il podista: soprattutto ci affidiamo al test di Mader con la misurazione del lattato e della frequenza cardiaca per la determinazione della soglia. Durante il test prendiamo anche nota della cadenza alle varie velocità e facciamo una video analisi per evidenziare eventuali vizi posturali ed errori tecnici.

Ci interessa fare una valutazione osteopatica e kinesiologica perché intervenire su articolazioni disfunzionali e muscoli contratti migliora il rendimento e riduce il rischio di infortuni.

Analizziamo anche la composizione corporea per individuare il peso ideale.

A questo punto la fase di indagine è conclusa e possiamo creare un programma di allenamento “su misura”.

Che ruolo hanno le altre figure professionali del team?

Passo a loro la parola.

Chiediamo allora a Fabio Basaglia, Osteopata.

Riprendiamo l’atleta mentre corre su treadmill ed eseguo dei test osteopatici e kinesiologici che mi danno indicazioni per intervenire con trattamenti mirati e verificare che essi si riflettano nella tecnica di corsa. Se necessario vengono poi prescritti degli esercizi specifici di cui si occupano le kinesiologhe Eva Girard e Claudia Sapienza.

Eva e Claudia come interagite nel pratico?

Scegliamo gli esercizi che servono a rinforzare i gruppi muscolari che servono a stabilizzare l’assetto di corsa ed eventualmente insistiamo nei lavori di allungamento. Periodicamente facciamo anche una seduta di massaggio per scaricare le tensioni muscolari insorte durante i lavori più pesanti.

Il coach Matteo Siletto di cosa si occupa?

Io mi occupo di supervisionare il lavoro sul campo e di analizzare i dati degli allenamenti raccolti con i cardio-GPS e memorizzati su piattaforme digitali. Questo costante monitoraggio dei dati mi permette di verificare che gli allenamenti producano effettivi miglioramenti e che non siano troppo duri o troppo blandi.

Se l’atleta usa dei wearable, possiamo acquisire informazioni anche sul sonno e sul recupero che ci aiutano a modulare il carico. E’ un lavoro che abbiamo iniziato a fare 6 anni fa utilizzando un parametro, l’HRV (heart rate variability) che è molto indicativo. Adattare il carico alle risposte organiche è il cuore di VAT che è il programma con cui seguiamo la performance.

Infine chiediamo ad Anna Carlin, nutrizionista, quale è il suo ruolo?

Innanzitutto devo correggere eventuali macro errori dell’alimentazione, mi focalizzo molto sulla qualità degli alimenti e sulla corretta proporzione tra carboidrati, grassi e proteine per raggiungere gli obiettivi di peso e poi verifichiamo che la glicemia durante la giornata sia più stabile possibile e che durante gli allenamenti si raggiungano i livelli desiderati. Anche qui la tecnologia è importante: usiamo infatti il sensore di glicemia super sapiens che, applicato al braccio, trasmette all’app sul cellulare i dati in tempo reale.

Ma tutto ciò non è troppo complicato e dedicato solo ai professionisti?

Sembra ma non è così, è più difficile spiegarlo che farlo. L’atleta professionista è più facile da gestire rispetto all’amatore che avendo una vita di lavoro deve inserire l’allenamento nei momenti liberi e quindi deve ottimizzare tutto per poter migliorare e ridurre il rischio di stancarsi troppo o di infortunarsi.

Se avete in progetto una maratona autunnale, questo è il periodo di iniziare con il team Vitalia e con VAT Vitalia Adaptive Program!

 

Contattaci per prenotare la tua visita o avere maggiori informazioni. Con un programma data driven studiato su misura ti accompagniamo alle maratone autunnali al meglio della forma fisica. 

 

 

Vitalia e il ciclismo hanno sempre pedalato insieme sia per chi vuole andare più forte che per chi vuole stare meglio. 

Abbiamo sempre lavorato sia per migliorare gli aspetti legati al benessere della persona sia per raggiungere soddisfacenti e ambiziosi risultati sportivi. 

Per questo il ciclismo e la bici è un mondo a noi molto caro.

 

Chi pedala regolarmente ottiene infatti molteplici vantaggi quali:

 

In questo percorso verso la salute e la performance i dati sono fondamentali perché è su di essi che si costruiscono i programmi e si misurano i risultati.

Partendo da una valutazione medica e da test accurati, pedalata dopo pedalata, Vitalia ti accompagna nel raggiungimento dei tuoi obiettivi con piani di allenamento mirati e quotidianamente adattati grazie alla condivisione dei dati dell’atleta, trattamenti osteopatici e piani nutrizionali.

La nostra esperienza pluriennale nella gestione dei dati di allenamento e biometrici è una garanzia per il miglioramento delle performance evitando quegli errori che possono causare problematiche di salute e riduzioni della prestazione.

Contattaci per prenotare la tua visita o avere maggiori informazioni, insieme possiamo pedalare più forte e andare più lontano.

 

 

INSIDE & OUTSIDE VITALIA

 

In occasione dell’arrivo della tappa del giro d’Italia al Technogym Village, nel giorno di riposo del giro, si terrà una tavola rotonda con la presenza del metodologo dell’allenamento della squadra Euskatel Inigo Mujika, del nutrizionista della Jumbo Visma Asker Jeukendrup, del dottore  Massimo Massarini, medico dello sport, e del professor Vincenzo Lomonaco esperto di Intelligenza Artificiale per parlare delle nuove metodologie di allenamento nel ciclismo. Moderatore Davide Cassani.

Il periodo di quarantena, trascorso perlopiù in casa, anche se in modalità smart work, ha causato in molte persone un’alterazione delle abitudini di vita, una maggiore sedentarietà ed una modificazione dell’alimentazione, il tutto accompagnato da una buona dose di stress.

Il risultato è una modificazione dei meccanismi di regolazione messi in atto dal sistema nervoso autonomo che, a buon ragione, può essere paragonato alla centralina elettronica che regola l’azione di apparati e organi. ipertensione arteriosa

Le situazioni di stess prolungato possono produrre una cascata di alterazioni a valle con la comparsa di sintomi che spesso sono di difficile inquadramento nella medicina specialistica. Tali sintomi prendono infatti il nome di Sintomi Vaghi Aspecifici (MUS: Medical Unspecified Symptoms) e si manifestano con alterazioni dell’appetito, dell’umore, della capacità di concentrazione, sulla qualità del sonno e sulla quantità di energia.  

In estrema sintesi, pur in assenza di malattie specifiche, si perde la sensazione di benessere e si diventa meno efficienti.

Il nostro intervento

Si può ricostruire una buona situazione fisica semplicemente attivando con i giusti stimoli le risorse di cui siamo dotati attraverso l’esercizio fisico personalizzato, la nutrizione e la supplementazione.

Sono questi i tre pilastri dell’intervento di Vitalia per ritrovare uno stato di salute ottimale.

Gli step

 

 

 

 

L’intervento

I dati ottenuti in questa fase permettono di indirizzare il paziente verso un programma di nutrizione e supplementazione e di prescrivere un piano di esercizio mirato al riequilibrio psicofisico.

Il percorso arriva quindi all’ultima fase che prevede una o più seduta di esercizi guidati con la supervisione di un kinesiologo/fisioterapista. Il programma di allenamento potrà essere svolto in autonomia, a casa propria, o in sessioni singole con il massimo rispetto del distanziamento. Il follow-up a distanza utilizzerà un’app per la visualizzazione degli esercizi.

La completezza e l’efficacia di questo programma sono nel suo approccio multilaterale che analizza tutti i fattori che concorrono a determinare lo stato di salute della persona e che guidano la personalizzazione della dieta e dell’esercizio.

Inoltre, i parametri rilevati con i test forniscono misurazioni attendibili e comparabili per valutare in maniera obiettiva i miglioramenti ed i risultati.

In maniera semplice e naturale, il cambiamento di alcune abitudini di vita sarà in grado di riportare la persona al livello di performance psicofisica ottimale, riequilibrando il controllo metabolico e restituendo la piena salute. 

 

Per prenotazioni ed informazioni: 011-19508752

Introduzione

Quando pensiamo al trattamento osteopatico lo immaginiamo sempre rivolto alla struttura muscolo-scheletrica. Nel nostro immaginario l’osteopata è colui che tratta esclusivamente le disfunzioni muscolari o articolari a seguito di traumi o di problematiche da sovraccarico.

In realtà il ruolo dell’Osteopata è molto più ampio. I campi di applicazione si stanno pian piano aprendo alle patologie neuro-degenerative, alla neo-natalità, alle patologie psicologiche-psichiatriche, al campo stomato-gnatico, visivo ecc. Questo perché il trattamento manipolativo è in grado di stimolare processi di adattamento molto profondi e complessi.

Osteopatia e Sistema Nervoso Autonomo

In particolare la letteratura scientifica sta mettendo in evidenza il ruolo del trattamento osteopatico nelle condizioni di stress elevato e nello specifico nel riequilibrio del sistema nervoso autonomo (SNA).

Il SNA è quella parte del sistema nervoso che garantisce le funzioni vitali (battito cardiaco, respiro, funzioni ormonali ecc). Il SNA è composto da due componenti: la componente ortosimpatica (l’acceleratore del nostro organismo) e la componente parasimpatica (il freno del nostro organismo). Uno sbilanciamento verso uno di questi due sistemi comporta una riduzione del miglior adattamento fisiologico, evidenziando uno stato di stress.

Per quantificare il bilanciamento del SNA viene utilizzata la misura della variabilità della frequenza cardiaca (HRV). L’HRV è una misura che dipende dalle differenze temporali che sussistono tra un battito cardiaco ed un altro. Maggiore sarà l’HRV più in “salute” sarà il SNA. Viceversa, un minor grado di HRV sarà associato ad una condizione di stress o di scarso adattamento. Trovate QUI maggiori indicazioni sul SNA e sull’HRV.

L’effetto del trattamento osteopatico sull’HRV

Esistono ad oggi numerose evidenze scientifiche in cui viene indagata la relazione tra trattamento osteopatico e l’HRV. Questi studi, utilizzando diversi approcci di trattamento osteopatico, hanno messo in evidenza un effetto benefico sul bilanciamento del SNA attraverso la misurazione dell’HRV. In particolare, in caso di perdita di un buon bilanciamento a seguito di stress cronico o di dolore il trattamento osteopatico è in grado di attivare la risposta parasimpatica, aumentando le capacità di adattamento a stimoli stressogeni (interni ed esterni). In sostanza, nelle condizioni in cui si presenta una iper-attivazione del sistema ortosimpatico (situazioni di dolore, infiammazione cronico) o nelle fasi di stress che inducono invece un generale abbassamento della “potenza” del nostro SNA, il trattamento manipolativo agendo prevalentemente sulla componente parasimpatica è in grado di stimolare un bilanciamento ed un incremento della potenza del sistema. Questo porterà ad una migliore capacità di adattamento fisiologico, riducendo quindi lo stato disfunzionali a cui eravamo sottoposti.

Così come il trattamento osteopatico non mira solo alla componente muscolo-scheletrica, è anche vero che la manipolazione non necessita sempre di tecniche “dirette” e rapide (i classici thrust, ovvero le manovre in cui l’osteopata fa “schioccare” le articolazioni). Al contrario, l’osteopata ha nel suo “bagaglio” professionale, una serie di approcci e tecniche manuali che possono agire a livello mio-fasciale, viscerale e sull’asse cranio-sacrale. Queste tecniche risultano estremamente dolci e vengono svolte con tempi di azione prolungati. Un tale approccio mira in maniera diretta al miglioramento della funzionalità tessutale o di mobilità del distretto trattato (es. la mobilità del diaframma, la riduzione di tensione a livello cervicale, ecc), ma dall’altro presenta come effetto indiretto la stimolazione del nervo vago che è il principale attore del sistema parasimpatico. Questa azione produrrà così un effetto sistemico per via della risposta a livello del SNA.

Quando andare dall’osteopata per migliorare il bilanciamento del SNA

In generale le due situazioni che possono necessitare di un intervento dell’osteopata per bilanciare il SNA sono le condizioni di dolore cronico, ovvero quella sintomatologia dolorosa che si protrae nel tempo e che difficilmente riesce ad essere gestita e/o ridotta e le condizioni di stress elevato ovvero quando siamo sottoposti a periodi di “sovraccarico” sia fisico che mentale che portano il nostro organismo verso una condizione di disfunzione o patologia.

In entrambe le condizioni, l’approccio osteopatico può garantire un ottimo risultato potenziando le risorse interne della persona per gestire e ridurre dolore e stress.

A seguito di una valutazione quantitativa dell’HRV e della valutazione posturale ed osteopatica, il trattamento manipolativo sarà completamente individualizzato, in modo da trattare le aree del corpo che presentano una riduzione di mobilità o di adattamento fisiologico e stimolare la miglior risposta adattiva dell’organismo.

L’approccio integrato di Vitalia

Il nostro approccio, in tutti i campi di nostro interesse, dall’allenamento di alto livello alla rieducazione funzionale, è sempre multi-disciplinare ed integrato. Per questo riteniamo che il trattamento osteopatico sia essenziale per “rimuovere” meccanismi fisiologici che alla lunga possono portare a condizioni disfunzionali o patologiche. Ma il trattamento osteopatico deve sempre essere visto in congiunzione con un piano di esercizio fisico ed un approccio alimentare corretto ed individualizzato. Con la sinergia di queste componenti sarà possibile “potenziare” il proprio stato di salute raggiungendo la salute nella sua forma migliore.

Il programma BackToLife mira esattamente a questo. Ovvero, riportare la nostra salute al centro a seguito del difficile periodo di quarantena. E con l’integrazione di trattamento manuale, esercizio ed alimentazione siamo in grado di agire su tutte le componenti del nostra salute per garantire il miglio risultato possibile!

Referenze

L’attuale situazione caratterizzata dall’emergenza Covid19 è causa di forte stress per tutti noi: incertezza sul futuro, mancanza di contatti sociali, alterazioni delle abitudini quotidiane e vita sedentaria concorrono a creare una serie di fattori negativi che possono incidere sulla salute mettendo il sistema nervoso sotto attacco.

Per meglio comprendere come lo stress può trasformarsi in vere e proprie patologie è bene iniziare a capire cosa regola gli organi e gli apparati del corpo umano.

La nostra “centralina elettronica”

Così come in un’auto moderna, anche il corpo umano è governato da una “centralina elettronica”. Nel nostro caso si tratta del sistema neurovegetativo (SNA) che riceve informazioni e che, dopo averle elaborate, invia segnali ai vari organi e apparati. Molti fattori possono agire alterandone l’equilibrio: stress acuto e cronico, alterazione dei ritmi del sonno, sedentarietà o eccesso di esercizio, alterazioni dell’alimentazione, alcool, fumo, per citarne alcuni. (1)

Il SNA è costituito da 2 strutture, il simpatico ed il vago, che interagiscono continuamente nell’arco della giornata e delle circostanze per far sì che l’organismo si adatti alle molteplici situazioni che si trova a dover fronteggiare.

Ad esempio, se ci si trova a dover fare uno sforzo improvviso, come salire una rampa di scale velocemente, il simpatico manderà stimoli al cuore, ai polmoni e al sistema endocrino per mettere il corpo in condizione di portare sangue, ossigeno e nutrienti ai muscoli che permetteranno di eseguire il gesto; se invece abbiamo consumato il pasto serale, il vago invierà stimoli all’apparato gastro intestinale per facilitare la digestione ed abbasserà il livello di attenzione per favorire il riposo notturno.

In sintesi possiamo semplificare dicendo che il simpatico è l’acceleratore ed il vago è il freno del nostro organismo.

In una situazione di benessere e di allenamento i due sistemi interagiscono in maniera ottimale e ci permettono di adattarci velocemente alle diverse situazioni.

Quando, però, un fattore stressante, come quelli sopra citati va a inserirsi per un tempo più o meno prolungato si genera un disequilibrio nel SNA.

Se lo stressor si protrae nel tempo, l’alterazione a livello del SNA finisce con il modificare l’attività di apparati come ad esempio quello endocrino, quello cardiocircolatorio.

Le malattie generate dallo stress

Se, come abbiamo detto, il SNA controlla tutte le funzioni del corpo, è facile comprendere come una sua alterazione, se protratta nel tempo, possa comportare alterazioni del sistema endocrino, del sistema cardiocircolatorio, di quello digerente e del sistema immunitario.

I danni più frequentemente riscontrabili sono alterazioni della pressione arteriosa, tachicardia, respirazione superficiale, accumulo di grasso corporeo, perdita di massa muscolare e diminuzione della densità ossea.

Come proteggersi

Per evitare che ciò succeda dobbiamo mettere in atto alcune strategie.

In primis, bisogna mantenere dei ritmi di vita regolari, andando a dormire e svegliandosi alla stessa ora e senza fare le ore piccole, soprattutto evitando di passare le ultime ore della giornata davanti a forti fonti luminose come gli schermi degli smart phones. Meglio leggere qualche pagina di un buon libro. Il rispetto di queste regole permette di mantenere il ritmo circadiano a cui è collegato il sistema endocrino.

Il secondo consiglio è di dedicare 5 minuti, 3 volte al giorno, ad esercizi di respirazione con il ritmo di 5 secondi in inspirazione, 2 secondi di trattenuta e 5 secondi di espirazione. Questo ritmo respiratorio permette di migliorare l’ossigenazione dell’organismo e di stimolare il SNA.

 

 

Svolgere quotidianamente dai 15 ai 30 min di esercizio, preferibilmente appena svegli o prima di pranzo, con la modalità dell’interval training, alternando quindi 15-30 secondi di lavoro molto intenso a 15-30 di recupero ad intensità blanda. Variazioni rapide allenano il fisico a cambiare velocemente dallo stato di riposo a quello di impegno elevato e quindi predispongono il SNA a inviare con prontezza i segnali alla periferia.

 

Questi consigli, semplici da attuare ci aiuteranno a superare indenni la situazione attuale e a vivere meglio.

1-Chrousos, G. Stress and disorders of the stress system. Nat Rev Endocrinol 5, 374–381 (2009). https://doi.org/10.1038/nrendo.2009.106

E’ uscito in questi giorni il numero di giugno e luglio di Ski Alper, cifra tonda: è il centesimo. Nella consueta rubrica di Vitalia parliamo di running: meglio ammortizzati” o al naturale, con scarpe così minimal da farci sentire a piedi nudi? Ci sono pro e contro per ogni runner: valutate con attenzione quali sono le vostre caratteristiche. 

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C’è chi lo chiama barefoot running, natural running, pose running o chi running, ma la sostanza non cambia: la moda di correre con scarpe minimal sembra affascinare il mondo del trail. Il sogno di migliorare la tecnica di appoggio, ridurre gli infortuni e andare più forte spinge molti appassionati a orientarsi verso scarpe leggerissime con sistemi di ammortizzazione e stabilizzazione ridotti all’osso che promettono di far sentire il piede libero e a contatto con il terreno. Articoli di tecnica di corsa postulano teorie secondo le quali la suola pochissimo ammortizzata spinge il runner a correre meglio con appoggi sull’avampiede e con una frequenza di passi più alta. La teoria (e il messaggio di marketing delle aziende) su cui si è sviluppata questa tendenza è: l’uomo è nato scalzo e quindi è stato fatto per correre in maniera naturale, le calzature super ammortizzate hanno alterato la tecnica di corsa favorendo l’appoggio di tallone e addormentando la sensibilità del piede, ergo, riduciamo al minimo la suola e torneremo a correre come natura vuole. Affascinante? Sì. Vero? Vediamo.

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Per evitare di farci prendere da soggettivismi su base empirica del tipo ‘un mio amico che aveva male al ginocchio…, mio fratello che aveva la tallonite….’ , siamo partiti dai più recenti lavori scientifici pubblicati su riviste indicizzate (clicca qui per la bibliografia), ne abbiamo selezionati tre, li abbiamo letti e interpretati e riassunti nei punti salienti per presentarvi la versione più scientifica possibile della diatriba in maniera comprensibile.

Alcune doverose premesse

Primo punto: negli ultimi 50.000 anni l’uomo ha sviluppato calzature sempre più confortevoli adattandosi a esse. Dagli anni ’70 a oggi il numero di runner è aumentato esponenzialmente e molti di essi sono pesanti, non adeguatamente preparati muscolarmente o con problematiche biomeccaniche. Forse se non ci fossero le calzature ammortizzate i traumi sarebbero ancora più numerosi. Secondo punto: non c’è correlazione tra traumi e tipo di calzature. Sia che usino scarpe ammortizzate o minimal, l’eziologia degli infortuni risiede in complesse cause biomeccaniche. Terzo punto: non si possono trarre conclusioni univoche. Non lo permette la dinamiche delle cause e nemmeno la natura degli studi effettuati, che per di più sono stati condotti con modalità differenti (ad esempio su treadmill o su superfici fisse).

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La questione infortuni

Perché si dice allora che il barefoot running riduca gli infortuni? Il postulato di base trova il suo fondamento nel fatto che correre con una protezione minima o assente modifichi la tecnica di corsa portando il soggetto ad atterrare con il mesopiede o sull’avampiede. Ciò comporterebbe una miglior assorbimento delle forze di impatto e un miglior utilizzo della fascia plantare che agirebbe da ammortizzatore. Tale tecnica di corsa prevede anche un aumento della frequenza dei passi che dovrebbe essere di circa 170- 180/min. Il conseguente accorciamento della falcata comporterebbe angoli di lavoro meno accentuati nell’articolazione del ginocchio mentre aumenterebbe l’angolo di flessione plantare del piede. Purtroppo l’origine degli infortuni è molto complessa e dal punto di vista biomeccanico non sempre è possibile individuare un singolo fattore che sia assolutamente predittivo. Inoltre anche se così fosse non sarebbe facile correggerlo. Quali sono i più comuni infortuni del podista e come vengono influenzati da calzature minimal? Per semplificare le problematiche, i lavori analizzati hanno classificato le più comuni patologie da sovraccarico in cui incorrono i podisti confrontandole con i fattori predisponenti, su come essi vengano influenzati dal barefoot running e quindi sui potenziali risultati attesi.

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La tabella qui sopra, che abbiamo pubblicato su Skialper, dimostra ulteriormente che alcune patologie possono essere aggravate mentre altre possono beneficiare dall’uso di scarpe minimal. Studiandola è evidente, e lo ripetiamo di nuovo, che le conclusioni sull’effetto del barefooot running nelle varie patologie non sono univoche. Nelle fratture da stress della tibia e dei metatarsi, un aumento della pressione nell’impatto con il suolo causato dal barefoot running può aumentare il rischio di incorrere in queste patologie. Nella sindrome femoro-rotulea, si ritiene che un miglior allineamento del ginocchio e minor forze di impatto grazie all’appoggio sul meso e avampiede tipici del barefoot possano essere di beneficio nel prevenire e nel favorire la regressione delle problematiche. Per quanto riguarda la caviglia e le patologie del tendine d’Achille, a fronte delle teorie a favore del minimal, fondate sulle considerazioni del passo più corto e con minori forze di impatto, si associa una maggiore flessione plantare e una più alta sollecitazione dell’Achille che verrebbe quindi esposto a un maggior rischio di patologie da sovraccarico. Nella fascite plantare si può invece ipotizzare che il rinforzo dei muscoli che sostengono l’arco plantare causato dal correre con poca ammortizzazione possa essere di beneficio, ma anche in questo caso la conclusione è che è necessario approfondire gli studi e le ricerche.

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Ad ognuno la sua scarpa

Si può modificare la tecnica di corsa? Conviene farlo? I pareri sono anche qui discordi: quello che senz’altro si deve consigliare è la gradualità nel passaggio da scarpe ammortizzate a calzature minimal. Soprattutto chi corre con appoggio sul retropiede deve fare particolare attenzione nelle prime fasi in quanto la tecnica di corsa richiede tempo per modificarsi e il rischio è quello di aumentare piuttosto che diminuire gli infortuni nella prima fase. Le nuove calzature andranno quindi utilizzate per brevi tratti di corsa, qualche centinaio di metri, alternati a tratti di camminata. Da uno degli studi pubblicati si evince comunque che non è detto che chi corre con appoggio sul tallone riesca a modificare stabilmente la sua tecnica di corsa e quindi potrebbe essere ancora più esposto al rischio di infortunio con le scarpe minimal. Alla luce di quanto esposto finora, si può affermare che se si è trail runner non più giovanissimi e con una struttura fisica non leggerissima, l’opzione barefoot diventa ancora più rischiosa: si pensi a quanto vengano sollecitate le strutture muscolo tendinee del polpaccio e le articolazioni metatarsali che, per effetto dell’età, tendono naturalmente a essere meno elastiche. Infine, non dimentichiamo che, soprattutto nei trail lunghi, la fatica tende a causare un rallentamento dei riflessi e delle reazioni muscolari ed in queste situazioni l’uso di calzature scarsamente protettive può aumentare il rischio di infortuni.

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La salute di ognuno di noi dipende in larga parte dal nostro stile di vita, ci piaccia o no, questa è la realtà delle cose. Errate abitudini alimentari, sedentarietà, stress, fumo, posture scorrette hanno un profondo impatto sul benessere e sulle probabilità di contrarre malattie cardiovascolari, metaboliche (diabete), ortopediche (lombalgia, cervicalgie, osteartrosi) e alcuni tipi di tumore.

E ci sono effetti collaterali anche in ufficio: un basso livello di forma fisica riduce la capacità lavorativa e fa aumentare il numero di ore di assenza per malattia. Per questo, sin dagli anni ’80, si è iniziato a parlare di prevenzione“corporate Wellness” e si sono avviate iniziative finalizzate a procurare il benessere dei lavoratori e a contribuire al successo dell’azienda che li implementa. Sono infatti numerosi gli studi che analizzano il ritorno dell’investimento in progetti Wellness e che ne dimostrano la grande redditività.

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Anche nei paesi come l’Italia, infatti, dove gran parte dei lavoratori sono assistiti dal sistema sanitario nazionale, il costo della malattia per l’azienda è ingente. Soprattutto il trascurare fattori di rischio conduce ad un’aumentata incidenza di patologie e alla perdita di giornate di lavoro.

Si calcola che un programma di corporate Wellness comporti un aumento di produttività giornaliera di circa 15 min./giorno e una riduzione di 21 ore annue dell’assenteismo da infortuni e malattie, per un risparmio totale di 1500 euro per ogni dipendente che costi 35.000 euro/anno.

Come immediata conseguenza si riduce il turn over del personale, con un risparmio – per riduzioni del 2% – di 160 euro. Inevitabile che migliori il clima aziendale e che aumentino le possibilità di attrarre i migliori talenti sul mercato.

Sulla base di queste evidenze Vitalia ha strutturato un apposito check-up per testare lo stato di salute delle aziende. L’obiettivo è la prevenzione delle patologie cardiovascolari, metaboliche ed ortopediche. I dipendenti vengono sottoposti ad una visita e un colloquio di 30-40 min. in cui vengono misurati i parametri clinici utili a definire il profilo di rischio. Ognuno riceve consigli personalizzati su come migliorare le abitudini quotidiane.

Stare bene è un’assunzione di responsabilità verso se stessi. 

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[message type=”info”]Da alcuni mesi Vitalia collabora con Anna Sole Marta, psicologa dello sport (ve la presentiamo qui). L’esercizio fa bene all’individuo tutto, non può diventare un problema per la testa. Per questo bisogna saperlo dosare e, soprattutto nel caso di uno sport duro come il ciclismo, interpretare. Eccovi qualche consiglio della dott.ssa. [/message]

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La gioia di Fabio Aru al traguardo

Proprio in uno sport come il ciclismo in cui il doping sembra farla da padrone, si rischia di perdere di vista l’obiettivo principale di un’attività fisica impegnativa e gratificante come questa, in cui il benessere fisico deve andare di pari passo con il benessere mentale e l’entusiasmo. Per raggiungere e mantenere un traguardo così ambizioso non si può trascurare la straordinaria efficacia di un mental training strutturato sulla base delle caratteristiche individuali, della storia sportiva e della personalità di ciascuno.

Questo genere di coaching è ampiamente sfruttato dagli atleti professionisti (qui vi raccontiamo il caso Cadel Evans) per cui un calo di motivazione, di concentrazione (lo sapevi che il caffè può aiutarti a non distrarti in bici?) o uno stato mentale negativo hanno conseguenze immediate ed evidenti sulla prestazione: la sua applicabilità è altrettanto efficace, se non di più, per tutti quegli atleti che desiderano innalzare il loro livello prestativo, che considerano subottimale. Senza pretese di essere qui esaustiva su un argomento che richiede per sua stessa natura di essere calato nelle singole storie sportive e soprattutto di beneficiare dello scambio e del feedback di un osservatore esterno, vorrei darvi qualche spunto di riflessione e pratica che potete mettere in atto già in modo autonomo.

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Evans stremato sotto la neve, al Giro 2013

Valutate com’è la vostra percezione del dolore: siete atleti ed avete la possibilità di scegliere come interpretarlo. Provate a capire come le emozioni associate allo sforzo vadano ad influenzare direttamente il livello di fatica. Se il dolore è percepito come un nemico nel ciclista scatta una serie di pensieri autosvalutanti e depotenzianti: “Chi me lo fa fare?”, “Non sono allenato!”. Si innesca un circolo vizioso di emozioni negative che limitano il desiderio di combattere e rendono meno efficace e più difficoltoso l’allenamento. Se il dolore è considerato come una normale e importante parte del training, invece, impara a gestirlo e gli associa emozioni positive. “E’ segno che mi sto allenando”, “Sono sempre più resistente”: sono letture dell’evento che influenzano e modificano positivamente sensazioni che rappresentavano un limite. Sono pensieri che non solo riducono la nocicezione ma vanno ad incentivare la resistenza allo sforzo, la motivazione e la fiducia nelle proprie capacità.

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Canola vince in volata

Il ciclismo è uno sport veloce e di contatto e qui entra in gioco la paura. Innanzitutto individuate che cosa vi spaventa: essere parte della massa di ciclisti in partenza? Il dissesto dell’asfalto in discesa? La paura è un sentimento umano che è normale provare. E’ necessario imparare a gestirla, ad esempio confrontandosi con altri oppure spostando il focus della propria attenzione su elementi esterni: dando un preciso ritmo numerico alla pedalata oppure adottande opportune tecniche di rilassamento (siete consapevoli di quanto stringete il manubrio della bici? E’ un gesto che non solo vi irrigidisce, ma vi fa sprecare inutilmente energie).

Il ciclista deve essere attentissimo a curare la fase del riposo: è un aspetto fondamentale del training, per quanto normalmente i ciclisti considerino le interruzioni delle uscite in bici una perdita di allenamento. Questo rischia di essere un atteggiamento che limita la prestazione: il fisico ha necessità di riposo, che deve essere programmato ed effettuato in modo preciso. I benefici si presentano a livello fisico e a livello psicologico: è un break dalle richieste fisiche ed emozionali che il training fisico richiede, oltre a interrompere l’eventuale sorgere di noia per la monotonia e la routine ravvicinata degli allenamenti senza adeguati periodi di riposo. Sarà anche l’aspetto motivazionale a trarne grandi vantaggi permettendo nelle successive uscite in bici di raggiungere quel livello di impegno prefissato senza necessità di sforzi psicologici sproporzionati che sono uno dei principali ostacoli alla continuità ed efficacia dell’allenamento.

Insomma… “meglio un buon riposo che un cattivo allenamento”!

Buon lavoro!

Contattaci per un appuntamento con Anna Sole Marta.

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La partenza per le vacanze è un momento abbastanza stressante e allora quest’anno ho deciso di affrontarla a modo mio.

La meta è tradizionale: Sardegna, meno di due ore di macchina fino a Genova e poi traghetto. Però…

Però si può renderla più avventurosa. Per esempio partendo da casa in bici. Pianifico l’itinerario e via. Appuntamento a Voltri con la famiglia che arriva in ammiraglia.

La prima parte è noiosa, tra campi di granturco piatti come quelli dell’Illinois, poi il percorso migliora con i saliscendi dolci ed i boschi dell’Astigiano. Seguono le vigne bellissime del Monferrato e si plana su Nizza Monferrato per panino e Coca. Avanti verso Acqui con la sua bellissima piazzetta con l’acqua delle terme. Si riprende, sempre tra le vigne, verso Ovada, pedalando su crinali spettacolari. Fa caldo. Nella testa mi risuona Paolo Conte: “Genova per noi“, “Una giornata al mare“, “Bartali“.

C’è un po’ di venticello ma il sole picchia.

Le borracce vanno via una dopo l’altra. Inizia la dolce risalita verso il Turchino. Ora fa più fresco nei boschi della valle Bormida. I borghi, RossiglionePrato Ligure, che non avevo mai visto facendo l’autostrada, sono delle perle.
Arriva il valico che, nella sua modesta altitudine, è comunque un luogo significativo. Una galleria di 200 m e poi la vista sul mare. Meritato gelato al bar del valico e poi stupenda planata su Genova.

È fatta. In solitudine e pensando a quanto è maledettamente bella la nostra Italia.

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Le foto della pedalata: riconoscete i paesaggi?

sigaretta o faffè

Caffè e siga sembrano essere il modo più in voga tra gli studenti per prendere fiato tra una sessione di studio e l’altra.

Il binomio viene associato ad un momento di stacco gratificante che dovrebbe aiutare a sciogliere la tensione e a ricaricarsi per la successiva tirata.

Ma è proprio così? Siamo sicuri che l’accoppiata non abbia un lato oscuro della medaglia?

Il caffè, da solo ed in quantità moderate, 2-3 al giorno, aiuta in effetti ad innalzare il livello di attenzione e la soglia di stanchezza.  Ciò perché la caffeina favorisce il rilascio di adrenalina e noradrenalina, catecolamine che aumentano le performance muscolari e psichiche.

Questa quantità di caffeina  non espone l’organismo a potenziali rischi.

Fin qui tutto bene.

Quando però si associa il caffè alla sigaretta, l’effetto risulta essere dannoso in maniera esponenziale provocando un aumento della pressione arteriosa e della rigidità della parete delle arterie.

In altre parole si crea un notevole stress all’apparato cardio-circolatorio.

Anche lo stomaco è bersagliato dalle sostanze chimiche contenute che possono far insorgere o peggiorare disturbi come la gastrite.

Ma perché caffè e sigaretta vanno così spesso insieme?

Dai dati dei vari studi epidemiologici condotti sembra che la possibile correlazione tra caffeina e nicotina sia più complessa di una semplice interazione farmacologica e comprenda l’interazione tra gli stimoli organolettici e sensoriali prodotti dalla bevanda contenente caffè e le sensazioni “piacevoli” prodotte dal fumo di sigaretta.

In conclusione, cari studenti, prendetevi pure un caffè che vi renda belli pimpanti, ma non accendete la sigaretta, fatevi piuttosto due passi per sciogliere la muscolatura di schiena e gambe.

 

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