Misurare il lattato durante un test incrementale è il modo migliore per valutare il livello di performance  e programmare l’allenamento

Infatti, se si affronta una corsa ad un ritmo troppo intenso, il lattato prodotto non riescirà più ad essere metabolizzato e si accumulerà nel sangue nel giro di pochi minuti provocando dolore e bruciore muscolare e costringendo l’atleta ad interrompere lo sforzo o a ridurne l’intensità fintanto che il metabolita tossico non venga rimosso. L’intensità di esercizio associata ad un accumulo di acido lattico, viene definita come soglia anaerobica.

Ma che cos’è il lattato o acido lattico? E’ un catabolita prodotto dalla contrazione muscolare che avviene per conversione dell’energia chimica in energia meccanica. La produzione di lattato è in funzione dell’intensità del lavoro muscolare. Entro determinate velocità di corsa, l’acido lattico prodotto viene riutilizzato dai muscoli respiratori e dal cuore dopo essere stato riconvertito dal fegato in glucosio mediante il ciclo di Cori. Oltre questa intensità o soglia, la velocità di produzione del lattato supera la sua velocità di riutilizzo con un conseguente accumulo che, come detto, porta ad un rallentamento del ritmo o ad uno stop.

La misurazione del lattato mediante il prelievo di una goccia di sangue dal lobo dell’orecchio  e con l’utilizzo din uno specifico strumento di misura, permettere quindi di individuare la potenza meccanica e/o la frequenza cardiaca in cui si raggiunge il punto critico in cui l’acido lattico inizia ad accumularsi. Tale velocitàè appunto denominata velocità di soglia.

Da questa introduzione risulta evidente che determinare con precisione la soglia anaerobica permette di fornire un elemento fondamentale per la programmazione dell’allenamento degli sportivi che praticano discipline aerobiche. In effetti maratoneti, ciclisti, triathleti, nuotatori e fondisti si sottopongono regolarmente al test del lattato per verificare il proprio livello di allenamento e per impostare le sedute successive.

Come si misura il lattato – tipologie di test in laboratorio e sul campo

I test che permettono di calcolare la soglia anaerobica possono essere condotti in laboratorio o su campo: i primi vengono di solito svolti su treadmill . Il vantaggio del test in laboratorio consiste nella possibilità di annullare le variabili che possono influenzare la prestazione quali il vento, la temperatura e l’umidità.

Inoltre, l’uso del tapisroulant consente di definire con precisione la velocità, mentre sul campo l’atleta deve essere in grado di gestire l’andatura in maniera autonoma. Se ciò è fattibile per un atleta evoluto, non lo è per un podista di livello medio.

Comunque, anche in laboratorio bisogna rispettare dei criteri generali per una valutazione affidabile che possono essere riassunti in tre punti principali:

  1. non effettuare allenamenti particolarmente intensi nella giornata precedente il test
  2. alimentarsi in maniera adeguata (come se si dovesse affrontare una gara)
  3. svolgere un riscaldamento di almeno 20 min. con delle fasi finali ad alta intensità

Dal momento che la produzione di acido lattico è condizionata dalla muscolatura impegnata nel gesto atletico, è fondamentale che la prova in laboratorio sia condotta utilizzando l’ergometro specifico in funzione dello sport praticato, quindi treadmill per podisti e cicloergometro per i ciclisti.

Come si interpreta il test in funzione del tipo di gara

Secondo Mader, il fisiologo che ha codificato il protocollo descritto, la soglia anaerobica coincide con il valore delle 4 mmoli di lattato per ml. Tuttavia tecnici e medici che lavorano con sportivi di buon livello hanno verificato che il valore fisso proposto da Mader mal si adatta all’interpretazione di molti test.

Ciò che più si correla con la prestazione non è infatti il valore delle 4 mmoli quanto il punto di impennata della curva lattato-velocità di corsa. Altri autori sostengono che la “prima soglia”, quella a cui per intendersi si svolge il lungo, dovrebbe corrispondere ad un valore di 0,5 mmoli più alto del basale, la “seconda soglia” coinciderebbe invece con un valore di 2 mmoli superiori al primo. Per fare un esempio: se al termine di riscaldamento l’atleta mostra un valore di 1,1 mmoli di lattato (LA), la prima soglia si collocherà a 1,6 mmoli e la soglia anaerobica coinciderà con le 3,6 mmoli/l.

Ciò che inoltre deve essere considerato è l’andamento generale della curva che dovrà essere molto “piatta” ed impennare solo verso la fine nel caso di triathleti e maratoneti (fig. sopra), mentre nel caso di mezzofondisti o podisti che gareggiano su distanze tra i 5 ed i 10 km l’andamento sarà più graduale con un maggiore produzione di lattato. Queste considerazioni guideranno il preparatore atletico nel costruire il periodo di allenamento in modo da ottenere i miglioramenti ricercati.

Perché è utile svolgere un test lattato?

Il test del lattato è il metodo per elezione per la definizione dei ritmi di allenamento e delle staretgie di programmazione delle sedute. Infatti, la definizione della soglia aerobica ed anaerobica permettono di definire a quali velocità (o frequenze cardiache) l’atleta/amatore deve correre nei diversi mezzi allenanti (fondo lento, medio, ripetute ecc). Inoltre, l’interpretazione dell’andamento delle curve di accumulo di LA permette di indentificare punti di forza e carenze dell’atleta ed impostare quindi un piano di lavoro maggiormente individualizzato.

A chi è rivolto il test del lattato?

Il test del lattato non è particolarmente invasivo ne impegnativo. Pertanto è alla portata di tutti. Da chi si avvicina alla corsa e vuole potersi allenare in maniera consapevole e controllata a chi, avendo già un maggior bagaglio di esperienza, voglia incrementare le proprie performance o preparare una gara specifica. L’individuazione dei propri livelli di soglia è utile (se non fondamentale) per ogni atleta/amatore, per permettere un processo di allenamento più preciso.

Quando e ogni quanto tempo bisogna svolgere il test del lattato?

Il test del lattato può essere svolto tra le fasi principali di una preparazione, per monitorare con una cadenza ragionevole le modificazioni fisiologiche apportate dal programma di allenamento. Allo stesso modo, è conveniente svolgerlo quando si inizia a “fare sul serio” con la corsa, per evitare di incorrere negli errori classici del podista, quali correre il lungo al ritmo del medio o svolgere tutti gli allenamenti alla stessa velocità (entrambi questi errori portano con il tempo al decadimento della performance o all’infortunio).

La cadenza del test non è prestabilita a priori. Gli atleti evoluti lo svolgono anche ogni 1-2mesi, ma spesso può essere sufficiente svolgerlo 1-2 volte l’anno, in base ai proprio programmi di allenamento e competizione.

Conclusioni

Il test del lattato è uno dei metodi più affidabili e precisi per individuare la velocità di soglia e per calcolare le velocità del fondo medio e lungo. La sua ripetizione nel corso della stagione può essere utile per verificare l’andamento della forma e per correggere i ritmi di lavoro.

L’analisi della curva del lattato può rivelare all’allenatore eventuali carenze o eccessi nell’allenamento e quindi suggerire correzioni in funzione della distanza di gara da preparare.

Rispettare gli accorgimenti indicati nel secondo paragrafo è indispensabile per ottenere risultati validi.

Capita di correre per dimagrire e non… dimagrire. Capita di fare scialpinismo per dimagrire e non… dimagrire. Capita. Ma perché? Lo abbiamo spiegato sull’ultimo numero di Ski-Alper: ecco l’articolo.

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Come siamo fatti

Il nostro corpo è costituito da ossa, visceri, muscoli e tessuto adiposo, ma soprattutto di acqua che rappresenta dal 50-60% del peso totale. Il tessuto adiposo è distribuito nel sottocute e tra i visceri. La sua funzione è quella di proteggere dagli urti, dal freddo, dare sostegno agli organi interni ma il grasso corporeo concorre a produrre sostanze (adipochine) responsabili di uno stato di infiammazione cronica che favorisce l’insorgenza di malattie cardiovascolari.

Il dimagrimento come perdita di massa grassa

Nell’atleta che pratica corsa in montagna o scialpinismo il grasso corporeo rappresenta una zavorra da dover portare in salita e quindi si cerca di tenerlo al minimo. La percentuale di massa grassa non dovrebbe comunque superare il 12-15% del peso corporeo. Le metodiche più diffuse per determinarla sono la plicometria, misurazione delle pliche cutanee con apposito strumento, e la bioimpedenza. Una tecnica che determina la percentuale di grasso corporeo valutando l’impedenza misurata da una micro corrente che attraversa il corpo e calcolando la composizione corporea in funzione del fatto che il tessuto muscolare, essendo più ricco di acqua, è un migliore conduttore.

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Il dimagrimento come effetto del bilancio negativo tra spesa e incasso

Innanzitutto è bene precisare che per perdere un kilo di massa grassa è necessario bruciare 7-9000 kcal, ovvero creare un deficit tra entrate ed uscite pari a tale quantitativo calorico. L’obiettivo può essere raggiunto con un aumento del volume di allenamento, riducendo l’assunzione di alimenti o con entrambe. Purtroppo molte persone vivono più di percezioni che di realtà e, sulla base di queste, capita che si tenda a sovrastimare la quantità di allenamento ed a sottostimare la quantità di cibo. Per ovviare al problema, il suggerimento è quello di rendere il più obiettivi possibili i dati relativi agli allenamenti e dell’alimentazione seguita. Per l’allenamento, basterà utilizzare con regolarità un cardio-GPS (come vi consigliamo qui) e scaricare i dati su PC o installare una delle molte app di monitoraggio sportivo; tra tutte, forse la migliore è Strava (ne parliamo qui). Più difficile tenere conto di ciò che si mangia. Capita infatti di “spizzicare” qualcosa qui e là senza ammetterlo neanche con noi stessi. Il consiglio è di tenere in tasca carta e penna o di scrivere nelle note di uno smart phone tutto quello che si mette in bocca. Con un po’ di pratica o con l’aiuto di un esperto (medico, nutrizionista) si dovrebbe riuscire a capire se mediamente il saldo calorie spese/calorie assunte è negativo o positivo. Attenzione comunque a non abbassare troppo l’apporto calorico giornaliero. Negli sportivi è infatti essenziale mantenere un regime alimentare adeguato agli allenamenti che vengono svolti altrimenti si rischia di incorrere in un drastico calo della performance.

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I fattori che influenzano il dimagrimento: tipi di alimenti, distribuzione dei pasti nella giornata

A volte però, anche se i “numeri di bilancio” sono negativi, l’ago della bilancia non scende. Come mai? In questi casi bisogna indagare su come e quando si mangia. In altre parole, le stesse calorie giornaliere distribuite in modo diverso durante la giornata e con percentuale di nutrienti corrette possono generare effetti diversi sul metabolismo.

Ecco gli errori più frequenti:
• tendenza ad assumere la maggior quantità di calorie con il pasto serale
• assumere pasti ricchi di carboidrati lontano dagli allenamenti
• assumere carboidrati ad alto indice glicemico (pane di farina 00, pasta, riso, patate, bevande dolcificate, alcol)
• assumere una limitata quantità di verdure
• tenere bassi, non più del 10% delle calorie giornaliere, i grassi saturi

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Vediamo quindi come correggere questi errori:
• assumere una piccola quantità di carboidrati a basso indice glicemico 1-2h prima dell’allenamento se si prevede che esso sia intenso
• ristabilire le scorte di glicogeno muscolare nella fase immediatamente successiva all’allenamento. L’ideale è reintrodurli entro 40’ perché in tal modo andranno a ricostituire le scorte di glicogeno muscolare evitando che essi vengano trasformati in grassi di deposito
• scegliere carboidrati a basso indice glicemico da alimenti ricchi di fibra, selezionare quindi farine integrali e cereali grezzi
• dare rotazione alla fonte di carboidrati. Alternare per esempio, farine integrali, orzo, kamut, riso integrale.

La perdita di peso dovrebbe essere di circa 0,5 kg/sett e dovrebbe essere costituita essenzialmente da massa grassa, mentre le oscillazioni di peso legate alle perdite di liquidi con il sudore dovrebbero essere rapidamente corrette con la reintroduzione di bevande leggermente ipotoniche per essere più velocemente assorbite. In conclusione, la quantificazione esatta della spesa calorica, la scelta degli alimenti e la loro distribuzione nell’arco della giornata in funzione degli allenamenti garantiranno il raggiungimento del risultato e del miglioramento prestativo.

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E’ uscito in questi giorni il numero di giugno e luglio di Ski Alper, cifra tonda: è il centesimo. Nella consueta rubrica di Vitalia parliamo di running: meglio ammortizzati” o al naturale, con scarpe così minimal da farci sentire a piedi nudi? Ci sono pro e contro per ogni runner: valutate con attenzione quali sono le vostre caratteristiche. 

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C’è chi lo chiama barefoot running, natural running, pose running o chi running, ma la sostanza non cambia: la moda di correre con scarpe minimal sembra affascinare il mondo del trail. Il sogno di migliorare la tecnica di appoggio, ridurre gli infortuni e andare più forte spinge molti appassionati a orientarsi verso scarpe leggerissime con sistemi di ammortizzazione e stabilizzazione ridotti all’osso che promettono di far sentire il piede libero e a contatto con il terreno. Articoli di tecnica di corsa postulano teorie secondo le quali la suola pochissimo ammortizzata spinge il runner a correre meglio con appoggi sull’avampiede e con una frequenza di passi più alta. La teoria (e il messaggio di marketing delle aziende) su cui si è sviluppata questa tendenza è: l’uomo è nato scalzo e quindi è stato fatto per correre in maniera naturale, le calzature super ammortizzate hanno alterato la tecnica di corsa favorendo l’appoggio di tallone e addormentando la sensibilità del piede, ergo, riduciamo al minimo la suola e torneremo a correre come natura vuole. Affascinante? Sì. Vero? Vediamo.

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Per evitare di farci prendere da soggettivismi su base empirica del tipo ‘un mio amico che aveva male al ginocchio…, mio fratello che aveva la tallonite….’ , siamo partiti dai più recenti lavori scientifici pubblicati su riviste indicizzate (clicca qui per la bibliografia), ne abbiamo selezionati tre, li abbiamo letti e interpretati e riassunti nei punti salienti per presentarvi la versione più scientifica possibile della diatriba in maniera comprensibile.

Alcune doverose premesse

Primo punto: negli ultimi 50.000 anni l’uomo ha sviluppato calzature sempre più confortevoli adattandosi a esse. Dagli anni ’70 a oggi il numero di runner è aumentato esponenzialmente e molti di essi sono pesanti, non adeguatamente preparati muscolarmente o con problematiche biomeccaniche. Forse se non ci fossero le calzature ammortizzate i traumi sarebbero ancora più numerosi. Secondo punto: non c’è correlazione tra traumi e tipo di calzature. Sia che usino scarpe ammortizzate o minimal, l’eziologia degli infortuni risiede in complesse cause biomeccaniche. Terzo punto: non si possono trarre conclusioni univoche. Non lo permette la dinamiche delle cause e nemmeno la natura degli studi effettuati, che per di più sono stati condotti con modalità differenti (ad esempio su treadmill o su superfici fisse).

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La questione infortuni

Perché si dice allora che il barefoot running riduca gli infortuni? Il postulato di base trova il suo fondamento nel fatto che correre con una protezione minima o assente modifichi la tecnica di corsa portando il soggetto ad atterrare con il mesopiede o sull’avampiede. Ciò comporterebbe una miglior assorbimento delle forze di impatto e un miglior utilizzo della fascia plantare che agirebbe da ammortizzatore. Tale tecnica di corsa prevede anche un aumento della frequenza dei passi che dovrebbe essere di circa 170- 180/min. Il conseguente accorciamento della falcata comporterebbe angoli di lavoro meno accentuati nell’articolazione del ginocchio mentre aumenterebbe l’angolo di flessione plantare del piede. Purtroppo l’origine degli infortuni è molto complessa e dal punto di vista biomeccanico non sempre è possibile individuare un singolo fattore che sia assolutamente predittivo. Inoltre anche se così fosse non sarebbe facile correggerlo. Quali sono i più comuni infortuni del podista e come vengono influenzati da calzature minimal? Per semplificare le problematiche, i lavori analizzati hanno classificato le più comuni patologie da sovraccarico in cui incorrono i podisti confrontandole con i fattori predisponenti, su come essi vengano influenzati dal barefoot running e quindi sui potenziali risultati attesi.

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La tabella qui sopra, che abbiamo pubblicato su Skialper, dimostra ulteriormente che alcune patologie possono essere aggravate mentre altre possono beneficiare dall’uso di scarpe minimal. Studiandola è evidente, e lo ripetiamo di nuovo, che le conclusioni sull’effetto del barefooot running nelle varie patologie non sono univoche. Nelle fratture da stress della tibia e dei metatarsi, un aumento della pressione nell’impatto con il suolo causato dal barefoot running può aumentare il rischio di incorrere in queste patologie. Nella sindrome femoro-rotulea, si ritiene che un miglior allineamento del ginocchio e minor forze di impatto grazie all’appoggio sul meso e avampiede tipici del barefoot possano essere di beneficio nel prevenire e nel favorire la regressione delle problematiche. Per quanto riguarda la caviglia e le patologie del tendine d’Achille, a fronte delle teorie a favore del minimal, fondate sulle considerazioni del passo più corto e con minori forze di impatto, si associa una maggiore flessione plantare e una più alta sollecitazione dell’Achille che verrebbe quindi esposto a un maggior rischio di patologie da sovraccarico. Nella fascite plantare si può invece ipotizzare che il rinforzo dei muscoli che sostengono l’arco plantare causato dal correre con poca ammortizzazione possa essere di beneficio, ma anche in questo caso la conclusione è che è necessario approfondire gli studi e le ricerche.

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Ad ognuno la sua scarpa

Si può modificare la tecnica di corsa? Conviene farlo? I pareri sono anche qui discordi: quello che senz’altro si deve consigliare è la gradualità nel passaggio da scarpe ammortizzate a calzature minimal. Soprattutto chi corre con appoggio sul retropiede deve fare particolare attenzione nelle prime fasi in quanto la tecnica di corsa richiede tempo per modificarsi e il rischio è quello di aumentare piuttosto che diminuire gli infortuni nella prima fase. Le nuove calzature andranno quindi utilizzate per brevi tratti di corsa, qualche centinaio di metri, alternati a tratti di camminata. Da uno degli studi pubblicati si evince comunque che non è detto che chi corre con appoggio sul tallone riesca a modificare stabilmente la sua tecnica di corsa e quindi potrebbe essere ancora più esposto al rischio di infortunio con le scarpe minimal. Alla luce di quanto esposto finora, si può affermare che se si è trail runner non più giovanissimi e con una struttura fisica non leggerissima, l’opzione barefoot diventa ancora più rischiosa: si pensi a quanto vengano sollecitate le strutture muscolo tendinee del polpaccio e le articolazioni metatarsali che, per effetto dell’età, tendono naturalmente a essere meno elastiche. Infine, non dimentichiamo che, soprattutto nei trail lunghi, la fatica tende a causare un rallentamento dei riflessi e delle reazioni muscolari ed in queste situazioni l’uso di calzature scarsamente protettive può aumentare il rischio di infortuni.

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Primo articolo del dott. Ettore Pelosi, medico, nutrizionista e maratoneta, appena entrato nel team Vitalia. In attesa di conoscerlo potete assaggiare qui la sua “Omeodieta” e scoprire perché sono importanti i carboidrati nell’alimentazione di chi pratica sport di fatica. 

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Da sempre l’alimentazione è fondamentale nella preparazione atletica e non c’è sportivo di qualunque livello che non abbia maturato le proprie convinzioni sul tema. Ma, soprattutto, su una ideale supplementazione: termine con cui s’intende l’assunzione di elementi nutrizionali necessari a supportare il surplus di energia richiesto dal metabolismo dell’atleta. Insieme ad allenamento e recupero, l’alimentazione è oggi considerata la base per la preparazione dello sportivo professionista ed amatoriale. E non ci sono più dubbi sul ruolo preminente dei carboidrati per lo svolgimento dell’attività sportiva: sono la fonte energetica essenziale e limitante di qualsiasi disciplina.

Le riserve

Bisogna sapere infatti che durante i periodi di allenamento intenso i depositi muscolari di glicogeno vanno incontro ad ampie fluttuazioni giornaliere: le riserve corporee sono limitate e possono durare da un minimo di 90 minuti fino ad un massimo di 3 ore per allenamenti di moderata/elevata intensità (65-85% VO2max). La riduzione di tali riserve si associa ad esaurimento durante l’esecuzione di un esercizio intenso e prolungato, ma anche all’aumento degli infortuni muscolari ed alla depressione del sistema immunitario.

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Per sostenere le migliori performance atletiche sono quindi indicate diete ad alto contenuto di carboidrati, basso contenuto di lipidi e moderato contenuto di proteine. Infatti, il principale obiettivo nutrizionale è quello di garantire il fabbisogno energetico per i muscoli e gli altri tessuti, onde ritardare la comparsa della fatica, promuovere gli adattamenti muscolari attivati con l’allenamento e consentire il ripristino delle riserve di glicogeno muscolare e la riparazione delle fibre danneggiate.

L’equilibrio energetico

Un’adeguata assunzione energetica è insomma condizione necessaria (purtroppo non sufficiente) per il raggiungimento di una prestazione atletica ottimale. Un regime equilibrato rispetto ai fabbisogni è il pilastro portante dei condizionamenti anatomo-funzionali promossi dall’allenamento e finalizzati al raggiungimento della migliore forma atletica. Un corretto bilancio energetico si ottiene quando l’assunzione calorica (risultante della somma dell’energia ricavata da alimenti, liquidi e supplementi) eguaglia la spesa energetica (risultante dalla somma del metabolismo basale, effetto termico degli alimenti e spesa energetica per lo svolgimento delle attività giornaliere e dell’allenamento).

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È importante che durante i periodi di allenamento gli sportivi assumano quantità sufficienti di calorie per mantenere peso e composizione corporea appropriati. Livelli inadeguati di assunzione calorica determinano la compromissione delle prestazioni e dei benefici derivanti dall’allenamento: la perdita della massa magra determina perdita di forza e resistenza muscolare così come compromissione delle funzioni del sistema immunitario, endocrino e muscolo-scheletrico. Il perdurare di un basso introito calorico può anche determinare uno stato di malnutrizione con alterazioni metaboliche secondarie a deficienze di nutrienti e riduzione del metabolismo basale.

Per far fronte a tutto questo, il nutrizionista deve stimare correttamente le necessità caloriche dell’atleta, che variano in funzione del sesso, dell’età, dei principali valori antropometrici, della composizione corporea, del tipo di sport praticato e delle ore di allenamento. Dovrà inoltre impostare una supplementazione adeguata e personalizzata.

Qualche numero

La dieta di uno sportivo è equilibrata se i vari carboidrati (fonte energetica primaria e limitante per qualsiasi disciplina sportiva) coprono il 55-70% delle calorie totali giornaliere (idealmente 10-15% oligosaccaridi, 40-60% polisaccaridi). In realtà, più che di percentuale di apporto calorico è opportuno parlare di introiti in grammi per kilo di peso corporeo.

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Si tenga inoltre presente che recenti raccomandazioni circa l’assunzione giornaliera di carboidrati riconoscono per i diversi gruppi di atleti quantità diverse in funzione della dimensione corporea e del carico di lavoro in allenamento. I target di 7-10 g/Kg (ma anche fino a 12) per carichi più intensi e 5-7 g/Kg per carichi più moderati rappresentano una raccomandazione generica che deve essere, tuttavia, adeguata agli obiettivi nutrizionali ed ai riscontri prestazionali di ogni singolo atleta. Infatti l’elemento più importante nella determinazione delle riserve di glicogeno muscolare è la quantità di carboidrati assunta; gli studi dedicati, sebbene estremamente eterogenei, suggeriscono che esista una relazione diretta e positiva tra quantità di carboidrati assunta e deposito intramuscolare di glicogeno, almeno fino a che non sia stata raggiunta la soglia di accumulo muscolare. Attenzione: a differenza dei depositi di lipidi, quelli di glicogeno sono molto limitati e, quando massimali, sufficienti per coprire dispendi energetici nell’ordine di 2000 kcal. Così con la riduzione del glicogeno muscolare si riducono sia l’intensità del lavoro muscolare che quella dell’esercizio fisico. La riduzione del glicogeno muscolare si associa anche ad infortuni muscolari e depressione del sistema immunitario.

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L’importanza del recupero

Atleti di ogni disciplina devono pertanto essere in grado di ristabilire le riserve muscolari di glicogeno tra due sessioni di allenamento giornaliere e/o tra due allenamenti in giorni consecutivi. Assunzioni elevate di carboidrati migliorano la performance nella singola sessione di allenamento così come il recupero e la performance nella sessione successiva. Talvolta però, nonostante un’adeguata assunzione di carboidrati, le concentrazioni di glicogeno muscolare possono non essere completamente ristabilite nelle 24-48 h successive ad una gara/allenamento molto stressante (come per esempio nella maratona). In questo caso l’allenamento dovrebbe essere ridotto o i tempi di recupero tra due sessioni aumentati, onde evitare il rischio di infortuni. E’ chiaro che i benefici che si possono trarre favorendo un recupero rapido e completo tra due sessioni di allenamento si possono trasformare nel tempo in un migliore adattamento all’allenamento stesso e, di conseguenza, in un miglioramento delle performance in gara.

Clicca qui per leggere la bibliografia.

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Numeri, sfide, condivisione, compatibilità. Buoni motivi per allenarsi con Strava e consigli per sfruttarne tutte le potenzialità. 

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Se siete sportivi appassionati della fatica a piedi, in bici, sugli sci o in acqua, sicuramente avete sentito parlare di Strava, una piattaforma software su cui è possibile registrare ed analizzare gare e allenamenti e vedere cosa fanno gli amici.  È semplicissima da usare, basta scaricare l’app, avviarla all’inizio della prestazione e fermarla al termine. Automaticamente tutti i dati saranno salvati e, accedendo al sito Strava.com, si potranno studiare, confrontare, archiviare.

Compatibilità con Cardio-Gps

Se si possiede uno strumento Cardio-Gps da polso Suunto, Garmin, TomTom o Timex (qui la nostra recensione degli ultimi usciti), i dati verranno sincronizzati dalle rispettive piattaforme software su Strava. Quindi non è più un problema cambiare strumento: le informazioni rimarranno comunque in memoria su Strava. Grande vantaggio!

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L’analisi in “segmenti” permette di confrontarsi con i propri precedenti ma soprattutto con gli amici

Versione Premium

Ma andiamo con ordine, suggerendo innanzitutto di utilizzare la versione Premium che per 5 € al mese, 5 miseri caffè, dà pieno accesso a tutte le funzioni. Al termine dell’allenamento o della gara Strava permette di visualizzare immediatamente tutti i dettagli della performance. A partire dal percorso svolto: riassunto in km, metri di dislivello, durata, velocità media e calorie spese, si presenterà diviso in segmenti che sono i tratti più significativi o quelli che altri utenti hanno individuato come zone su cui analizzare e confrontare i dati. In ogni segmento è evidente il tempo fatto quel giorno, la propria posizione in una classifica virtuale oppure lo storico dei propri risultati o ancora, confrontarsi per gruppo di età. Se si usa la fascia cardio, l’impegno della prestazione viene riassunto in un indice di “sofferenza” calcolato in base alla durata ed all’intensità dello sforzo. Questi indici sono molto utili per mettere a confronto i risultati obiettivi con le sensazioni soggettive. Inoltre, il continuo raffronto con se stessi e con i propri amici/nemici aumenta la competitività e spinge a migliorarsi costantemente. Per i ciclisti, Strava offre dati di grande valore come ad esempio la VAM (velocità ascensionale media) o i watt prodotti in base a sofisticate formule che tengono conto di velocità, pendenza e peso.

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La propria storia a portata di click

L’acquisizione costante ed automatica dei dati crea un database personale di grande valore che permette di avere sempre chiaro il volume di allenamento, l’intensità e le distanze. Mettere a confronto questi valori di settimana in settimana, di mese in mese e di anno in anno, permette di capire a fondo cosa e come ci si sta allenando e di contestualizzare le proprie performance in questo ambito. Come abbiamo scritto qui la corsa, il ciclismo e l’esercizio in generale non si improvvisano, ma assomigliano molto alla matematica. Conoscere i propri numeri è fondamentale per trarre il massimo dagli allenamenti e dal recupero (ne parliamo qui). 

Le sfide e gli obiettivi

Porsi un obiettivo o lanciare una sfida sono sicuramente i modi migliori per spingersi un po’ più in là: Strava lo permette grazie alla fortissima integrazione della piattaforma con i principali social media. La condivisione dei propri dati con una comunità pronta a darvi un “kudos!” o un like quando vi esprimete con una bella salita sono sicuramente tra i fattori che hanno contribuito a diffondere questo software nel mondo degli sportivi.

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Grazie alle classifiche e alla condivisione sui social aumenta la competitività

Ma esiste solo Strava?

No, ci sono molte altre app che servono a monitorare ed archiviare i propri allenamenti e le più diffuse sono Runtastic ed Endomondo. Entrambe fanno bene il proprio lavoro specialmente nella fase di condivisione social: quante volte vi è capitato di vedere su Facebook la corsetta di un amico? Fare un post prima, dopo o durante l’allenamento per molti è diventato un must. Usandole si scopre comunque che la loro funzionalità è leggermente inferiore a quella di Strava soprattutto per quanto riguarda l’analisi dei dati e l’interfacciabilità con cardio-gps.

Conclusioni

Se siete sportivi occasionali e volete iniziare a capire come e quanto esercizio fate, scaricate l’app che vi sembra più facile ed attraente per i vostri gusti. Se invece cercate qualcosa che vi aiuti a migliorare la performance attraverso l’analisi costante dei propri numeri, Strava è the best.

 

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Sull‘ultimo numero di Ski-alper, scaricabile nella versione digitale e già arrivato in edicola, parliamo delle patologie del ginocchio. Un’articolazione particolarmente sollecitata negli sport di montagna e un tema che richiederebbe un libro di ortopedia. Nell’articolo, che vi riproponiamo qui, abbiamo cercato di semplificare l’argomento per fornire qualche informazione pratica. Dedicato agli sci alpinisti ed ai runners doloranti: basta rimandare, ascoltate il vostro corpo…

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Nella corsa, come nello sci, il ginocchio è sollecitato sia in salita che in discesa

Com’è fatto e come funziona

L’articolazione del ginocchio è composta dal femore, dalla tibia e dalla rotula che si colloca nella parte anteriore dell’articolazione. Si inserisce cioè nel solco creato dalla conformazione della parte distale del femore ed ha lo scopo di facilitare l’azione del muscolo quadricipite nell’estendere la gamba. Tutte le superfici articolari sono rivestite di cartilagine per ridurre gli attriti tra un osso e l’altro. Tra i condili femorali ed il piatto tibiale si trovano due strutture fibrose tondeggianti, i menischi, che hanno anch’essi la funzione di assorbire i colpi proteggendo ulteriormente le cartilagini. La conformazione anatomica del ginocchio permette prevalentemente un movimento di flesso-estensione e, in misura molto minore un movimento di rotazione della tibia sul femore. I muscoli che generano questi movimenti sono quelli anteriori (il quadricipite femorale), attivi nell’estensione, e quelli della parte posteriore (bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso e gastrocnemio) che flettono il ginocchio gestendone anche l’intra e l’extrarotazione. A stabilizzazione ulteriore dell’articolazione concorrono infine i legamenti: i due crociati, anteriore e posteriore, con la funzione di limitare flesso-estensione e rotazione, ed i due collaterali con la funzione di stabilizzazione laterale. Infine, tutta l’articolazione è avvolta nella capsula articolare che è guaina di tessuto connettivo contenente le strutture anatomiche ed il liquido sinoviale che le mantiene lubrificate.

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Quando l’artrosi si aggrava basta camminare per avere male

Cause del dolore

Le patologie che causano gonalgia (dolore al ginocchio) possono originare da una o più delle strutture anatomiche che compongono l’articolazione e si possono dividere in patologie degenerative, patologie traumatiche e patologie da sovraccarico. Al primo gruppo appartengono le degenerazioni cartilaginee (condropatia), come l’artrosi. Il dolore generato da artrosi è più marcato la mattina, dopo il riposo notturno, dopo periodi di immobilità, ad esempio alzandosi dopo ore alla scrivania e tende a diminuire con il movimento almeno fintanto che la lesione cartilaginea è di entità modesta. Quando invece l’artrosi si aggrava per il progredire delle lesioni cartilaginee anche lo stare in piedi e il camminare accentuano il dolore. L’artrosi per degenerazioni delle cartilagini femoro-tibiali è una patologia frequente che colpisce soprattutto gli anziani e nelle fasi più gravi insorge anche il dolore notturno. La condropatia femoro-rotulea è invece più frequente nei giovani e si evidenzia con una lesione della cartilagine che ricopre la faccia interna della rotula. In questo caso, i movimenti che comportano un accentuato angolo di flessione del ginocchio in carico, come ad esempio salire o correre su un pendio ripido, causano dolore.

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Anche i giovani, in presenza di una condropatia femoro-rotulea, accusano forti dolori sui pendii ripidi

Il secondo gruppo è rappresentato dalle lesioni meniscali e legamentose. In questi casi, un trauma ha causato la rottura parziale o totale di un menisco o di un legamento. Il dolore è acuto ed è accentuato dal movimento. Nel caso di lesione meniscale, la flessione, l’estensione rapida e la torsione sotto carico provocano l’esacerbazione della sintomatologia. Inginocchiarsi o caricare velocemente l’articolazione può evocare sensazione di “cedimento”. Se la lesione meniscale è completa, il frammento mobile può andare ad “incastrarsi” nell’articolazione provocandone il blocco. Trascurare le lesioni meniscali può portare a danni della cartilagine femoro-tibiale con conseguenze ben più difficili da curare. Ovviamente le lesioni dei legamenti, totali o parziali, causano sintomatologie molto più importanti ed evidenti ed è quindi superfluo trattarle. Si può tuttavia dire che una lassità legamentosa può portare nel tempo a una lesione cartilaginea e/o meniscale per un’insufficiente stabilizzazione dell’articolazione durante i movimenti.

Nel terzo gruppo di patologie che causano dolore troviamo quelle a carico dei tendini: rotuleo, zampa d’oca, quadricipitale. Il dolore causato dalle tendionopatie è causato dall’attività fisica e si manifesta soprattutto a freddo, dopo aver interrotto l’esercizio. Tipico è il caso in cui, dopo la gita o l’allenamento ci si rimette in macchina per un’ora e, alla prima sosta, scendendo dall’auto si avvertirà dolore e impedimento funzionale: nella parte anteriore del ginocchio per tendiniti del rotuleo o del femorale o nella parte postero – interna per tendiniti della zampa d’oca.

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Il dolore, nelle tendinopatie, si manifesta a gita finita: non durante lo sforzo

Cosa fare

Ovviamente le soluzioni prospettate non vogliono sostituire le terapie che saranno prescritte da uno specialista dopo la visita e gli eventuali esami di approfondimento richiesti (RX, Ecografia, RMN). Ricalcando la suddivisione delle patologie nei gruppi si può tuttavia dire che le degenerazioni cartilaginee e l’artrosi traggono beneficio da infiltrazioni di acido ialuronico eventualmente associato a cortisonici o della nuova molecola HYADD4 (esadecilammide di sodio ialuronato) che dovrebbe offrire maggiori risultati di durata e di efficacia nei casi di condropatia dello sportivo. L’infiltrazione di queste sostanze a base di acido ialuronico, che hanno proprietà lubrificanti e viscoelastiche, migliora la mobilità e la sintomatologia dolorosa. Nei casi di lesioni cartilaginee di piccole dimensioni e limitate alle superfici femoro-tibiali, l’infiltrazione con gel piastrinico (ottenuto dalla centrifugazione e separazione di 10 cc di sangue prelevati dal soggetto stesso) sta dando buoni risultati (ne parliamo qui). Infine, come ci dice il Dott. Riccardo Ferracini del CTO di Torino: “L’utilizzo di cellule staminali mesenchimali prelevate dal grasso addominale del soggetto e ottenute per centrifugazione e associate con il gel piastrinico genera del tessuto fibroso che ricopre i capi articolari in sostituzione della cartilagine danneggiata e può risolvere problemi di lesioni più vaste”.

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Su strada e in montagna, la corsa può creare problemi ai tendini. Qui tutti i consigli per prevenirli

Il mantenimento del tono muscolare con esercizi di rinforzo e l’attività aerobica a basso carico articolare (cyclette) sono utili nel mantenimento della funzionalità generale. Lesioni meniscali parziali o meniscosi possono anch’esse guarire con il processo ripartivo innescato dall’infiltrazione di gel piastrinico grazie ai fattori di crescita in esso contenuti. Lesioni totali e con frammento mobile sono invece di interesse chirurgico. Anche in questi casi, tuttavia, il mantenimento della forza muscolare è imperativo sia in vista di un eventuale intervento, sia nella fase riabilitativa. Quando invece sono i tendini a far male, sarà l’ecografia a guidare il tipo di terapia da adottare. Semplici infiammazioni potranno essere curate con ghiaccio, esercizio di rinforzo eccentrico (più carico nella fase di allungamento del muscolo), antiinfiammatori e riposo. Infiammazioni con essudato peritendineo e piccole calcificazioni rispondono bene alle onde d’urto sempre in associazione a crioterapia e esercizi di rinforzo. Infine, nel caso in cui l’ecografia evidenzi calcificazioni e le onde d’urto si dimostrino inefficaci, prima di ricorrere alla terapia chirurgica, l’infiltrazione con gel piastrinico è ancora il trattamento più efficace. In ogni caso è bene tuttavia ricordare che il dolore è il segnale che il corpo ci invia e come tale non deve essere ignorato: ricorrere agli antidolorifici per continuare ad allenarsi è quanto di più sbagliato si possa fare e inevitabilmente conduce ad un aggravamento del problema.

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News dai team Vitalia: le girls hanno iniziato il count-down per Roma e il team “Obiettivo Mezzalama“, ha accolto Federico, che sostituisce Davide. Davide infatti, non riusciva più a conciliare gli allenamenti con il lavoro e ha preferito fare un passo indietro. Lo scorso week-end ha portato buoni risultati per entrambe le squadre: forza ragazzi, continuate così!

30km

Sara e Carlotta sabato, soddisfatte dopo i loro 30 km

Gli appuntamenti si avvicinano ed i nostri atleti ce la stanno mettendo tutta. Il gruppo delle 4Girls4marathon è agli ultimi lunghi prima del periodo di scarico pre-gara. Nel week-end a cavallo tra febbraio e marzo le ragazze hanno corso l’ultimo 30 km, in progressione. Sara e Carlotta si sono allenate sabato in città, Elena ha gareggiato a Bra nella 9 miglia, facendo bene. I suoi traguardi ci rendono orgogliosi: a metà febbraio, nella mezza di Verona, ha migliorato il suo PB (con Carlotta a ruota); a fine mese si è presa il 5° posto nel Trail Bianco di Cesana, il suo esordio sulla neve. Le ragazze insomma stanno bene, e da questa settimana il kilometraggio scenderà per permettere di arrivare cariche al giorno della gara. Ora, più che mai, è fondamentale che il sistema di controllo messo a punto per seguire le loro prestazioni quotidiane funzioni egregiamente e permetta di avere sempre sotto controllo la situazione.

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Elena a Cesana, quinta nel Trail Bianco

Ogni lunedì mattina inizia con l’analisi dei dati della settimana. Su Strava si leggono i kilometri percorsi, la velocità, i metri di dislivello saliti e la frequenza cardiaca, mentre con RestWise si monitora il recupero e la prontezza ad affrontare l’allenamento successivo. L’app valuta FC a riposo, peso, qualità del sonno e altri parametri, per assegnare all’atleta un punteggio riassuntivo sulla sua condizione attuale.

Con questa tecnologia, la programmazione dell’allenamento è cambiata ed i programmi possono essere adattati alle caratteristiche individuali ed alle risposte organiche di ogni atleta. Finora siamo stati infatti abituati a costruire tabelle di allenamento basate su assunzioni più o meno precise e su dati rilevati durante test di laboratorio e da campo, senza peraltro verificare come gli allenamenti vengano “assorbiti” e in quanto tempo l’organismo riesca a “smaltirli”. Ora invece, si può fornire uno schema di sedute che l’atleta può adattare in base al livello di prontezza.

Facciamo un esempio: se il programma prevede oggi delle ripetute alla soglia anaerobica ma il punteggio di Restwise è basso, per quel giorno sarà meglio desistere e orientarsi ad un allenamento ad intensità più bassa. Se invece il punteggio è alto significa che si è pronti ad affrontare una seduta impegnativa e quindi, avanti con le ripetute.

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“Obiettivo Mezzalama”: la nuova formazione al completo (qui la presentazione del progetto)

Entrambi i nostri team inviano ogni mattina i loro dati tramite PC e smartphone ed in breve viene loro restituito il programma di allenamento quotidiano. I risultati si stanno vedendo, non solo per le runners ma anche per gli alpinisti.  Giorgio continua a raccogliere ottimi piazzamenti nelle notturne di scialpinismo seguito da Federico a pochi secondi. Sabato, alla Monterosa Skialp, una gara notturna con 2800 m. D+ e 30 km di sviluppo la squadra ha affrontato il primo vero test vero in vista del Mezzalama. E ottenuto grandi soddisfazioni: il capitano Giorgio ha chiuso al decimo posto assoluto, a 30′ dai primi, e Paola ha concluso in 101 esima posizione, dopo 4 ore e mezza di fatica.

A prestissimo con altri aggiornamenti e risultati.

Clicca qui per il blog di RunningCharlotte e il racconto dell’allenamento delle 4 girls.

Clicca qui per il blog Obiettivo Mezzalama, dedicato al training di Davide e Paola.

 

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News dai team Vitalia. Un nuovo progetto con le nostre girls e i progressi della squadra ski-alp. Per entrambi la parola d’ordine è: tecnologia. E allenamenti personalizzati ogni giorno grazie a Restwise.

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Le 4 girls, capitanate da RunningCharlotte, puntano alla Maratona di Roma

Due squadre, due obbiettivi, due programmi: i progetti Vitalia godono di buona salute e procedono spediti. Gennaio è stato speso per riorganizzare le forze, ed ecco dove siamo arrivati. Le 4 girls sono entrate nei due mesi pre-maratona, gli occhi puntati su Roma. Due di loro hanno corso la prima mezza di avvicinamento alla gara: la Mezza delle Due Perle di Santa Margherita. Un percorso vista mare mozzafiato, direzione Portofino e ritorno. Il tempo freddino ma soleggiato è stato ideale per correre bene. L’obiettivo non era quello di cogliere il PB ma di riprendere confidenza con i ritmi maratona, andando a ritrovare le sensazioni giuste per le lunghe distanze. Eppure il record c’è stato ed Elena con 1h37’ ha migliorato il suo PB, seguita ad 1’ da Sara che è rientrata alla grande.

Quindi sembra che, facendo gli scongiuri, talloniti e pubalgie siano passate… Purtroppo la “capitana Charlotte” è stata vittima di due giorni di febbre che l’hanno costretta a rinunciare. Conoscendola, tornerà più determinata che mai! Vale invece ha appena ripetuto il test di soglia con la misurazione del lattato. I risultati dicono che c’è un po’ da lavorare, soprattutto per alzare la velocità aerobica massima, per poi tornare ai ritmi dei lunghi con più efficienza. Il morale è alto e le ginocchia sembrano a posto. Le altre saranno testate mercoledì prossimo in modo da dare loro tempo di recuperare lo sforzo e l’influenza di domenica.

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Il team Montagna 360-Vitalia si sta allenando per il Mezzalama

Cambiamo panorami e… attrezzatura. Anche la squadra Montagna360-Vitalia è entrata nella fase “calda” della preparazione al prestigioso Trofeo Mezzalama che si correrà il 25 aprile. Sotto l’occhio esperto di Giorgio Villosio (ve lo presentiamo qui), Davide sta alternando uscite lunghe in montagna, gare notturne brevi e allenamenti in città di corsa e sui rulli. Paola sta guarendo dalla sua frattura al gomito e la settimana prossima dovrebbe rimettere gli sci. Ma questo periodo non è stato di riposo: ha alternato lunghe salite sulla neve con i ramponcini a sedute di allenamento sui rulli ad intensità elevata. Dalla scorsa settimana, Claudia la sta seguendo in sedute di rieducazione funzionale per accelerare il più possibile il suo ritorno in campo. Comunque, ogni allenamento è monitorato sui siti internet che raccolgono i dati dei cardio-GPS per consentire una valutazione dei risultati di ogni seduta (qui vi spieghiamo come funziona).

restwSu restwise.com si possono vedere i tutorial dell’app e scoprire come funziona

Ma la novità è l’utilizzo da parte di tutti gli atleti di un app, Restwise, che consente, attraverso l’inserimento di risposte a poche, specifiche domande, di avere un punteggio sul livello di prontezza ad affrontare il prossimo allenamento e quindi su come si è smaltito il precedente. In questo modo è possibile adattare ogni seduta all’effettiva capacità di recupero individuale. Ciò sarà fondamentale per ridurre il rischio di overtraining (che cos’è? ne parliamo qui) e di eventuali infortuni che sono più frequenti quando si parte già stanchi. L’idea di monitorare il grado di recupero del singolo atleta non è nuova: da molti anni si utilizzano diverse metodiche ma Restwise è probabilmente la soluzione più pratica, perché mi permette di tenere sempre sotto controllo gli atleti che seguo e di inviare loro il programma adatto alla giornata.

Ormai le possibilità offerte dall’hardware e dal software sono sconfinate, si tratta di abituarsi velocemente a sfruttarle al meglio.

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Si chiude oggi la riunione dei leader mondiali a Davos. Si è parlato anche di salute e lavoro: è ormai indispensabile trovare nuove formule per la prevenzione e il contenimento dei costi sanitari. Il commento del dott.

Annual Meeting 2011: Logo in the sunny weather of Davos

In questi giorni è in corso a Davos il World Economic Forum, un evento mondiale che si ripete periodicamente e che vede le migliori menti del pianeta riunite a discutere le politiche che possano avere un impatto globale. Uno dei principali temi in agenda quest’anno è, guarda caso, la salute di chi lavora.

La situazione è chiara: le economie degli stati non possono più sostenere il costo delle cure dei cittadini. La ricerca di nuovi farmaci e di nuove terapie curative deve essere affiancata a progetti per la prevenzione che siano efficaci ed accessibili ai più. Le soluzioni sembrano semplici ad una prima analisi: più movimento e alimentazione migliore. Eppure queste strategie lapalissiane sono molto difficili da implementare e richiedono una precisa visione che si realizzi attraverso una altrettanto precisa esecuzione. Invece, i lavoratori, soprattutto nelle grandi aree urbane, sono costretti a ritmi in cui è veramente problematico ritagliarsi i tempi per prendersi cura di sé.

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D’inverno una ciaspolata è un ottimo esercizio

Pensiamo al caso di una madre di famiglia che abiti nella periferia di una grande città e che debba lavorare le canoniche otto ore. La sua sveglia suonerà alle sei della mattina e, dopo aver preparato la colazione per la famiglia, ci sarà il trasferimento sul luogo di lavoro con auto e treno o con altri mezzi di trasporto. La pausa caffè sarà consumata davanti ad una macchinetta che eroga bevande calde o soft drink e “merendine” impreziosite da zuccheri e conservanti di vario tipo. Seguiranno altre ore alla scrivania, che spesso non rispetta criteri di ergonomia, che si interromperanno per il pranzo consumato alla mensa aziendale o al bar d’angolo. Il pomeriggio ricalcherà il copione della mattinata fino all’uscita intorno alle 17.30-18. Un’altra ora di trasporto pubblico e si è a casa, pronti per preparare la cena e… stramazzare a letto.

Eppure tutte le ricerche mediche evidenziano i rischi legati a questo stile di vita. In primis, il sovrappeso che a sua volta conduce alle malattie metaboliche come il diabete di tipo II, a molti tumori ed alle malattie cardiovascolari. Il problema si combatte con due armi, come al solito: più movimento e alimentazione migliore. E allora come possiamo incidere nella vita della mamma appena descritta?

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Una corsetta nel week-end è un buon inizio. Ma bisogna prendere abitudini sane in settimana

Pensiamo che piccole modifiche, concrete, possano fare una grande differenza. Immaginiamo che la signora possa camminare un kilometro prima di salire su un mezzo di trasporto oppure che possa utilizzare una bicicletta ed una pista ciclabile, che, invece della borsetta, usi uno zainetto in cui mettere due snack salutari ed una scatola con del cibo sano per il pranzo. Ciò le consentirebbe di risparmiare venti minuti di pausa mensa che potrebbero essere dedicati ad una camminata di 2 km. All’uscita, un altro km a piedi ed ecco che nella giornata lavorativa si riuscirebbe ad accumulare quella fatidica quantità di movimento necessaria a fare della vera prevenzione.

Il primo passo è continuare ad informare, perché l’informazione è educazione.
Il secondo potrebbe essere quello di incentivare. Offrire ad esempio dei bonus (buoni acquisto nei supermercati) a chi dimostra di prendersi cura di se stesso: tutti vantaggi che tornerebbero nelle “tasche” delle aziende e dello stato in termini di riduzione dell’assenteismo per malattia e spesa sanitaria.
La strada c’è, basta aver la voglia di iniziare ad incamminarsi.

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Sei mesi di corse, un doc e quattro runners. Ieri si è concluso il progetto 4 girls for marathon.

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L’allenamento delle ragazze è iniziato con i test estivi (qui il racconto)

E’ finita l’avventura con le 4 girls. Un’avventura iniziata a giugno con l’obiettivo di portare quattro donne “normali” a correre al loro meglio la maratona di Firenze. Un percorso cominciato con i primi test di soglia all’inizio dell’estate, la costruzione di un piano e la ricerca di fornitori tecnici che ci aiutassero: Asics, Garmin, Enervit.

Allenamento dopo allenamento, ritmi, programmi, chilometri, infortuni, caldo, pioggia. Ogni settimana siamo partiti dall’analisi dei dati sul sito Garmin (ecco come funziona) e sulla costruzione della nuova tabella settimanale.

A settembre le distanze si sono allungate. Poi ad ottobre, alla mezza della Corsa da Re, il personal best per Carlotta, Sara ed Elena ed il primo incidente: la rinuncia di Vale che avendo passato tutta l’estate sui libri, non è riuscita a fare il miracolo. Si va avanti, le tre rimaste continuano a correre bene, il mese passa macinando km.

Arriva novembre, la stanchezza accumulata inizia a farsi sentire. Piccoli segnali da non trascurare: un tallone dolorante, un polpaccio contratto. C’è chi minimizza e chi enfatizza, difficile essere obiettivi. Forza, manca poco, tra una settimana inizia lo scarico. Tra un alleggerimento degli allenamenti e una seduta di fisioterapia, il tutto condito con ghiaccio, è già la vigilia.

Atletica: Firenze Marathon, pettorina anche a ministro Lupi

Alla Firenze Marathon hanno dominato i kenyoti

Tensione e pochi messaggi.
Si parte, si spera.
Si arriva. E’ andata bene, poteva andare benissimo.
Grazie girls, mi avete fatto lavorare, ma ci siamo divertiti.

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