Il diaframma toracico è il muscolo respiratorio per eccellenza, e come tale compie la sua azione (abbassamento della sua porzione centrale in inspirazione ed un ritorno durante l’espirazione) durante ciclo respiratorio.
Il diaframma è posto come una cupola che suddivide la cavità toracica (superiore) da quella addominale (inferiore). Durante la respirazione la sua azione ha un ruolo sulle pressioni di questi due “contenitori”. In inspirazione l’azione del diaframma aumenta la pressione nella cavità addominale, diminuendola invece nella cavità toracica e facilitando quindi l’ingresso di aria nei polmoni.
Respirazione, ma non solo
In aggiunta alla sua funzione primaria (appunto quella respiratoria), per via dei suoi aspetti anatomo-funzionali, il diaframma svolge una serie di attività molto complesse. Esse spaziano dal controllo posturale statico e dinamico, all’anticipazione delle gestualità motorie, dall’agevolazione della fonazione al supporto del controllo digestivo e circolatorio.
Ma oltre ad agire su di una serie di componenti, subisce anche l’influenza di eventi stressanti o di situazioni emotivamente importanti.
Ecco come il diaframma toracico risulta così importante e complesso per gli aspetti funzionali e posturali.
Le correlazioni del diaframma
Il diaframma si trova al centro di una serie di strutture finemente dedicate al controllo posturale. Infatti, il diaframma è direttamente connesso con le sue porzioni tendinee al passaggio dorso-lombare. In questo tratto si svolge lo svincolo delle catene crociate, ossia il movimento di rotazione opposta tra il torace ed il bacino (schema necessario nella deambulazione e nella corsa). Inoltre, le inserzioni tendinee del diaframma giungono alle vertebre lombari (da L1 a L4).
Anche dal punto di vista muscolare le relazioni anatomiche sono molteplici. Infatti il diaframma è in stretta connessione con i muscoli psoas e quadrato dei lombi, che rivestono un ruolo fondamentale nella mobilità del bacino e nella “compressione” della regione addominale. Oltre ad avere relazioni dirette con i muscoli addominali (trasverso dell’addome in primis) e della colonna lombare (multifido).
Risulta quindi chiaro che il diaframma non possa essere visto come una struttura a sé stante, ma in stretta e sinergica relazione con una serie di componenti muscolari e articolari che giocano un ruolo fondamentale nel mantenimento della stabilità posturale e nella corretta mobilità del bacino e degli arti.
Le disfunzioni del diaframma
In molti casi viene perso l’automatismo della respirazione diaframmatica, attuando invece una respirazione di tipo toracico. Questo tipo di respirazione risulta meno efficiente e crea spesso disordini o dolori alle spalle e al tratto cervicale della colonna. In molti casi, la causa di una respirazione “alta” cioè di tipo toracico (e non “bassa” cioè di tipo diaframmatico) è ascrivibile alle difficoltà di attivazione del diaframma o a condizioni di rigidità del diaframma stesso o del tratto dorso-lombare della colonna. Una difficoltà di attivazione o una rigidità del diaframma possono comportare importanti alterazioni a carico della postura, fino a giungere all’insorgenza di vere e proprie patologie, quali le lombalgia e le cervicalgie croniche.
Dal punto di vista osteopatico il diaframma può subire delle disfunzioni legate alla sua naturale mobilità. Ovvero può ridurre il suo range di movimento in abbassamento (inspirazione) o nel ritorno (espirazione), o entrambi. La riduzione di mobilità comporta anche un aumento della “rigidità” del muscolo, causando ripercussioni a livello muscolo-scheletrico delle componenti ad esso connesso per via diretta ed indiretta.
Come risolvere le disfunzioni diaframmatiche e mantenerne la piena funzionalità?
Una disfunzione del diaframma ha bisogno di essere trattata. Il trattamento manuale consiste nel “liberare” il diaframma e le sue porzioni tendinee dalle tensioni di natura posturale o derivanti da eventi stressanti, che possono limitare la funzionalità del diaframma stesso ed inficiare la biomeccanica della colonna. Parliamo di trattamenti manipolativi osteopatici che si sono già dimostrati utili in molti studi (es. Gonzalez-Alvarez, et al., 2016) e consentono, tramite una dolce pressione sulla cupola diaframmatica, di individuare e ridurre la tensione nelle porzioni diaframmatiche in restrizione.
Questo approccio ha il duplice vantaggio di agire direttamente sul diaframma garantendone una maggiore funzionalità, ma anche di lavorare in maniera indiretta sulla fitta rete di relazioni muscolo-scheletriche del diaframma, garantendo una migliore mobilità dell’intero tratto dorso-lombare.
A seguito del trattamento manipolativo osteopatico è utile svolgere esercizi di attivazione della respirazione diaframmatica ed eventualmente un allenamento specifico per la resistenza della muscolatura respiratoria.
Per l’attivazione diaframmatica, di solito vengono svolti semplici esercizi in cui, partendo dalla posizione in decubito supino, con le gambe piegate, i piedi in appoggio sul terreno, e le mani posizionate sull’addome, si compiono alcune respirazioni profonde cercando, durante la fase inspiratoria, di gonfiare l’addome e percepire la muscolatura diaframmatica che si abbassa. In fase espiratoria invece l’addome si deve contrarre, permettendo al diaframma di ritornare alla posizione neutra.
Una volta presa coscienza dell’attivazione del diaframma partendo dalla posizione supina, è possibile svolgere esercizi simili ma dalla stazione seduta e da in piedi, in modo da percepire le differenze di attivazione in base alla postura mantenuta.
Quando l’attivazione del diaframma e la respirazione addominale diventano di facile gestione, può essere utile, allenare in maniera specifica il diaframma (esattamente come alleniamo altri gruppi muscolari). Bisogna ricordare che il diaframma è un muscolo posturale tonico, che necessita di un allenamento della sua capacità di resistenza e non di massima espressione di forza. Per poter ottenere questi risultati esistono strumenti (come lo SpiroTiger) che sfruttano il meccanismo dell’iperpnea (aumento della ventilazione polmonare) isocapnica (mantenimento dei livelli di anidride carbonica). Questi sistemi hanno il grande vantaggio di poter allenare in maniera specifica il diaframma anche per tempi molto prolungati, evitando di incorrere in “giramenti di testa” o nella compensazione della muscolatora respiratoria accessoria. Inoltre, offrono la possibilità di modificare ed adattare i parametri di frequenza respiratoria, garantendo quindi un allenamento del diaframma ad intensità (es. frequenza respiratoria simile a quella di gara) e con volumi respiratori differenti.
Questa fase risulta molto importante per garantire la massima funzionalità ed efficienza del diaframma durante lo sforzo.
Una serie di attività che consentono di eliminare le disfunzioni, migliorare l’attivazione ed infine allenare nello specifico uno dei muscoli più importanti del nostro organismo, migliorando lo stato di salute e ridurre il rischio di infortuni o alterazioni posturali.
Anche in questo periodo di isolamento e quarantena è utile mantenere o migliorare il proprio atteggiamento posturale. Questo per evitare di incorrere in disfunzioni e patologie a carico del sistema muscolo-scheletrico. Ma cos’è la postura? E come fare a valutarla? In questo articolo vi spieghiamo la “nostra formula” ovvero il #PosturalCheck.
Postura
La postura è definita come la posizione che il nostro corpo assume nello spazio. Rappresenta l’adattamento al carico da gestire (forza di gravità), agli squilibri muscolo-scheletrici, ed a tutti gli eventi interni ed esterni che possono interagire con il nostro organismo.
L’atteggiamento del nostro corpo è garantito dal sistema posturale, che è un insieme complesso di strutture appartenenti al sistema nervoso (centrale e periferico) e muscolo-scheletrico.
Non esiste una postura completamente simmetrica o in equilibrio (che renderebbe il nostro corpo statico senza nessuna possibilità di movimento) ma esistono strategie di compenso posturale che possono essere gestite al meglio senza causare alcun tipo di problema. In altri casi invece, il corpo, avendo “finito” le possibilità di compenso, tende a sovraccaricare una struttura specifica dell’organismo portando a lungo andare una condizione disfunzionale e alla patologia.
Per questo motivo, anche in assenza di sintomi o problematiche, è utile svolgere con una certa frequenza (in base alla tipologia di sforzi e attività che si svolgono quotidianamente) una valutazione posturale.
Perchè il postural check?
Il postural check non mira ad identificare ogni singola asimmetria o squilibrio posturale, ma deve in maniera più dettagliata e fine, individuare le strategie del complesso adattamento posturale individuale e definire se e dove la postura presenta uno scompenso (o disfunzione).
Svolgere una tale valutazione posturale ha la principale finalità di prevenire disfunzioni, sintomi e l’instaurarsi di patologie da sovraccarico funzionale.
Sia per gli sportivi che non questa passaggio risulta quindi di grande rilevanza.
Come avviene una valutazione posturale?
La nostra “formula” per una valutazione posturale funzionale è piuttosto complessa ed è costituita da diversi passaggi.
1. Simmetria statica. La prima fase è composta da una serie di misurazioni sulla simmetria posturale in postura statica. Con una serie di fotografie (di fronte, di spalle e dai due lati, in flessione ed in estensione) e grazie ad un software dedicato analizziamo e misuriamo gli angoli, le distanze e le simmetrie dei segmenti articolari. In particolare rivestono molta importanza le altezze dei gran troncateri, delle spine iliache (anteriori e posteriori) degli angoli scapolari e delle spalle. Valutiamo poi in maniera quantitativa la proiezione della statica (anteriore o posteriore), i compensi a livello di anca, bacino e colonna, gli shift laterali di sacro e cranio e le inclinazioni a livello dei diaframmi.
Questa prima fase ci permette di identificare aree che presentano una alterazione di simmetria e situazioni di scompenso.
2. Test di mobilità. E’ svolta facendo eseguire alcuni movimenti che permettono di identificare le aree in restrizione di mobilità. Vengono svolti movimenti attivi per la valutazione della componente articolare (flessione anteriore del tronco, flessione laterale del tronco, rotazioni della colonna, flessione dell’anca ecc). Durante questi test l’analisi video è ortientata allo svolgimento del movimento analizzando le fasi in cui si mettono in atto compensi posturali o in cui il movimento risulta meno “pulito”.
3. Analisi del passo. In ultima analisi viene svolto un test di cammino che con l’uso di software dedicato, indica i parametri della gait analisys, quali i tempi di contatto dei piedi sul terreno, la lunghezza del passo. Con questo test otteniamo la valutazione funzionale per eccellenza, individuando come lo schema posturale globale si adatti alla deambulazione.
In conclusione
Una volta conclusi tutti questi test abbiamo a disposizione una serie molto ampia di dati, che con la giusta interpretazione consentono di avere una situazione molto dettagliata e precisa della condizione posturale.
Si parte dai test più statici per arrivare a quelli più dinamici e funzionali, perché secondo la nostra visione la valutazione posturale deve focalizzarsi sull’adattamento dell’individuo ai compiti di vita quotidiana e non solamente analizzare asimmetrie dei segmenti articolari.
Una volta completato il postural check, viene redatto un report di individuale ed in caso di situazioni da risolvere o trattare, viene proposta una serie di esercizi di natura posturale.
Una buona salute passa anche dalla buona conoscenza della propria postura. Ecco perchè un postural check ben studiato e completo è in grado di fornire moltissime informazioni utili per poter migliorare la propria condizione fisica e per prevenire sintomi dolorosi, disfunzioni o patologie.
La postura è definita come la disposizione delle varie parti del corpo all’interno di uno spazio.
La postura è una caratteristica individuale che varia per ogni persona. Essa ha dei tratti comuni a tutti gli esseri umani ma è influenzata da aspetti personali, situazioni di dolore o semplicemente abitudini errate.
Una postura errata provoca una non perfetta efficienza biomeccanica del corpo, con conseguenti patologie dolorose.
Che cos’è la RPG: Rieducazione Posturale Globale
La RPG è un metodo riabilitativo che si basa sul concetto della bipolarità muscolare, ovvero considera le differenze tra le funzioni muscolari statiche e dinamiche. Queste differenze possono essere di tipo anatomico, metabolico o funzionale.
Questo metodo fisioterapico è stato sviluppato da Philippe Souchardnel 1981. Ad oggi è però estremamente attuale in quanto considera il corpo nella sua globalità, con un approccio olistico che non si limita alla sola parte dolente ma mira a ristabilire un equilibrio nel paziente.
All’interno di Vitalia, i terapisti utilizzano con successo questa tecnica con moltissimi pazienti, aiutandoli sia in caso di patologie dolorose sia nella performance sportiva.
Seduta di RPG a distanza con un atleta della nazionale giovanile di arrampicata sportiva
Secondo i principi della RPG, la funzione muscolare statica è la principale responsabile degli atteggiamenti posturali errati, causa e/o conseguenza di disfunzioni meccaniche dolorose.
La RPG utilizza alcune posture attive che vanno a reclutare diverse catene muscolari di tutto il corpo. La muscolatura viene attivata con delle contrazioni isometriche (che mantengono invariata la lunghezza del muscolo) ed eccentriche a lunghezza muscolare crescente (che offrono una resistenza muscolare a delle forze esterne). In questo modo, il terapista vuole ottenere una riduzione del meccanismo patologico muscolare che causa nel paziente retrazione tendinea e ipertono, con conseguente dolore ed errata postura.
Gli obiettivi della RPG
La Rieducazione Posturale Globale ha come obiettivo la riprogrammazione e la riarmonizzazione della postura della persona, contenendo la rigidità ed i dolori dell’apparato muscolo-scheletrico.
Essa permette di prendere coscienza di ciò che il corpo è in grado di comunicare riguardo le forme e le condizioni di muscoli ed articolazioni, individuando le tensioni muscolari che alterano la normale simmetria corporea.
Il trattamento posturale si pone obiettivi a medio-lungo termine. Non sempre occorre correggere immediatamente una postura squilibrata.
Ad esempio, talvolta una postura squilibrata è il risultato di una posizione antalgica, ovvero la ricerca inconscia del fisico di una posizione che lenisca un dolore localizzato in un segmento corporeo. Correggere la postura nella fase in cui il paziente è dolorante, non farebbe altro che accentuare tale discomfort ed incrementare lo squilibrio posturale. Occorre quindi, in una prima fase, assecondare lo squilibrio posturale per poi poter intervenire su di esso quando il dolore sarà regredito. In questa seconda fase, infatti, il paziente comincerà a recuperare autonomamente una postura corretta, ed il compito del fisioterapista sarà quello di intervenire per accompagnare e facilitare questa normalizzazione.
Come si svolge una seduta di RPG
Le sedute sono individuali e prevedono:
• un lavoro attivo da parte del paziente per mantenere la posizione di allungamento impostata dal terapista,
• l’intervento manuale del terapista per correggere tutti i compensi che la messa in tensione globale rileverà.
La messa in tensione globale (la postura finale che si vuole ottenere) non può essere ottenuta subito ad inizio seduta.
In una prima fase, il fisioterapista deve “accettare” le tensioni del paziente, il cui corpo si rivelerà reticente nel mettere in pratica le richieste del professionista. Nella fase finale della seduta le parti si invertiranno ed il paziente sarà in grado di accettare ciò che viene richiesto dal fisioterapista per raggiungere la postura richiesta con meno compensi possibili.
Nonostante l’allungamento muscolare possa dare spesso delle sensazioni sgradevoli, esso è necessario per raggiungere lo scopo della seduta.
È fondamentale che il fisioterapista ed il paziente dialoghino. Il paziente deve comunicare le sensazioni che prova, guidando così le scelte consapevoli del terapista. Egli potrà quindi propendere per una sospensione momentanea della progressione della postura, correggendo le tensioni muscolari per poi procedere nuovamente con la fase di allungamento.
Occorre fare molta attenzione alla comparsa di compensi durante gli allungamenti in globalità. Spesso, il paziente cerca di “scappare” da una postura che gli viene richiesta: compito del terapista è quello di eliminare i compensi, riportando il paziente nella postura corretta per continuare la seduta. Il terapista utilizza la sua manualità per sentire dove intervenire in modo preciso, fare la correzione che ritiene opportuna ed ottenere sul corpo del paziente tale correzione.
A seconda della catena neuromuscolare su cui si vuole intervenire si deciderà la postura più adeguata per il trattamento.
Le posture si dividono in quattro famiglie:
• apertura coxo-femorale, braccia addotte
• apertura coxo-femorale, braccia abdotte
• chiusura coxo-femorale, braccia addotte
• chiusura coxo-femorale, braccia abdotte
Ricordiamo che l’articolazione coxo-femorale corrisponde all’articolazione dell’anca.
P. Souchard Rieducazione posturale globale RPG – Il metodo; ELSEVIER
All’interno della stesso gruppo di posture, il fisioterapista sceglie, a seconda dell’obiettivo terapeutico, se utilizzare una postura in scarico (con il paziente sdraiato supino) oppure in carico (con il paziente seduto od in piedi).
Le postura in decubito dorsale (supine) sono utilizzate maggiormente per pazienti in età avanzata oppure che presentano una prevalenza di dolore. Le posture in carico sono invece più attive ed impegnative e richiedono un ottimo controllo motorio da parte del paziente stesso.
Normalmente, durante una stessa seduta si utilizzano due posture, intervallate da una piccola pausa.
La frequenza consigliata è:
• in caso di problematiche dolorose: bisettimanale, per poi passare a settimanale con il progressivo miglioramento della sintomatologia
• in caso di dismorfismi: settimanale
L’importanza del tempo
Come già detto, la RPG richiede tempo: il tempo è il mezzo, non il fine di questa tecnica.
Esso è fondamentale perché tutte le parti che compongono la catena muscolare trattata durante la seduta possano essere messe progressivamente in tensione.
L’allungamento muscolare è legato al concetto di fluage, ovvero l’allungamento definitivo che è proporzionale al tempo di trazione. Questo vuol dire che più a lungo verrà mantenuto l’allungamento, migliore sarà il risultato di allungamento sulla catena muscolare, riducendo così la tensione.
Si capisce quindi perché la RPG richieda lentezza, delicatezza e gradualità.
Bibliografia
P. Souchard Rieducazione posturale globale RPG – Il metodo; ELSEVIER
P. Souchard Basi del metodo di rieducazione posturale Globale. Il campo chiuso. Ed. Marrapese
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Paolucci T, Attanasi C, Cecchini W, Marazzi A, Capobianco SV, Santilli V.
Chronic low back pain and postural rehabilitation exercise: a literature review.
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E’ uscito in questi giorni il numero di giugno e luglio di Ski Alper, cifra tonda: è il centesimo. Nella consueta rubrica di Vitalia parliamo di running: meglio “ammortizzati” o al naturale, con scarpe così minimal da farci sentire a piedi nudi? Ci sono pro e contro per ogni runner: valutate con attenzione quali sono le vostre caratteristiche.
C’è chi lo chiama barefoot running, natural running, pose running o chi running, ma la sostanza non cambia: la moda di correre con scarpe minimal sembra affascinare il mondo del trail. Il sogno di migliorare la tecnica di appoggio, ridurre gli infortuni e andare più forte spinge molti appassionati a orientarsi verso scarpe leggerissime con sistemi di ammortizzazione e stabilizzazione ridotti all’osso che promettono di far sentire il piede libero e a contatto con il terreno. Articoli di tecnica di corsa postulano teorie secondo le quali la suola pochissimo ammortizzata spinge il runner a correre meglio con appoggi sull’avampiede e con una frequenza di passipiù alta. La teoria (e il messaggio di marketing delle aziende) su cui si è sviluppata questa tendenza è: l’uomo è nato scalzo e quindi è stato fatto per correre in maniera naturale, le calzature super ammortizzate hanno alterato la tecnica di corsa favorendo l’appoggio di tallone e addormentando la sensibilità del piede, ergo, riduciamo al minimo la suola e torneremo a correre come natura vuole. Affascinante? Sì. Vero? Vediamo.
Per evitare di farci prendere da soggettivismi su base empirica del tipo ‘un mio amico che aveva male al ginocchio…, mio fratello che aveva la tallonite….’ , siamo partiti dai più recenti lavori scientifici pubblicati su riviste indicizzate (clicca qui per la bibliografia), ne abbiamo selezionati tre, li abbiamo letti e interpretati e riassunti nei punti salienti per presentarvi la versione più scientifica possibile della diatriba in maniera comprensibile.
Alcune doverose premesse
Primo punto: negli ultimi 50.000 anni l’uomo ha sviluppato calzature sempre più confortevoli adattandosi a esse. Dagli anni ’70 a oggi il numero di runner èaumentato esponenzialmente e molti di essi sono pesanti, non adeguatamente preparati muscolarmente o con problematiche biomeccaniche. Forse se non ci fossero le calzature ammortizzate i traumi sarebbero ancora più numerosi. Secondo punto: non c’è correlazione tra traumi e tipo di calzature. Sia che usino scarpe ammortizzate o minimal, l’eziologia degli infortuni risiede in complesse cause biomeccaniche. Terzo punto: non si possono trarre conclusioni univoche. Non lo permette la dinamiche delle cause e nemmeno la natura degli studi effettuati, che per di più sono stati condotti con modalità differenti (ad esempio su treadmill o su superfici fisse).
La questione infortuni
Perché si dice allora che il barefoot running riduca gli infortuni? Il postulato di base trova il suo fondamento nel fatto che correre con una protezione minima o assente modifichi la tecnica di corsa portando il soggetto ad atterrare con il mesopiede o sull’avampiede. Ciò comporterebbe una miglior assorbimento delle forze di impatto e un miglior utilizzo della fascia plantare che agirebbe da ammortizzatore. Tale tecnica di corsa prevede anche un aumento della frequenza dei passi che dovrebbe essere di circa 170- 180/min. Il conseguente accorciamento della falcata comporterebbe angoli di lavoro meno accentuati nell’articolazione del ginocchio mentre aumenterebbe l’angolo di flessione plantare del piede. Purtroppo l’origine degli infortuni è molto complessa e dal punto di vista biomeccanico non sempre è possibile individuare un singolo fattore che sia assolutamente predittivo. Inoltre anche se così fosse non sarebbe facile correggerlo. Quali sono i più comuni infortuni del podista e come vengono influenzati da calzature minimal? Per semplificare le problematiche, i lavori analizzati hanno classificato le più comuni patologie da sovraccarico in cui incorrono i podisti confrontandole con i fattori predisponenti, su come essi vengano influenzati dal barefoot running e quindi sui potenziali risultati attesi.
La tabella qui sopra, che abbiamo pubblicato su Skialper, dimostra ulteriormente che alcune patologie possono essere aggravate mentre altre possono beneficiare dall’uso di scarpe minimal. Studiandola è evidente, e lo ripetiamo di nuovo, che le conclusioni sull’effetto del barefooot running nelle varie patologie non sono univoche. Nelle fratture da stress della tibia e dei metatarsi, un aumento della pressione nell’impatto con il suolo causato dal barefoot running può aumentare il rischio di incorrere in queste patologie. Nella sindrome femoro-rotulea, si ritiene che un miglior allineamento del ginocchio e minor forze di impatto grazie all’appoggio sul meso e avampiede tipici del barefoot possano essere di beneficio nel prevenire e nel favorire la regressione delle problematiche. Per quanto riguarda la caviglia e le patologie del tendine d’Achille, a fronte delle teorie a favore del minimal, fondate sulle considerazioni del passo più corto e con minori forze di impatto, si associa una maggiore flessione plantare e una più alta sollecitazione dell’Achille che verrebbe quindi esposto a un maggior rischio di patologie da sovraccarico. Nella fascite plantare si può invece ipotizzare che il rinforzo dei muscoli che sostengono l’arco plantare causato dal correre con poca ammortizzazione possa essere di beneficio, ma anche in questo caso la conclusione è che è necessario approfondire gli studi e le ricerche.
Ad ognuno la sua scarpa
Si può modificare la tecnica di corsa? Conviene farlo? I pareri sono anche qui discordi: quello che senz’altro si deve consigliare è la gradualità nel passaggio da scarpe ammortizzate a calzature minimal. Soprattutto chi corre con appoggio sul retropiede deve fare particolare attenzione nelle prime fasi in quanto la tecnica di corsa richiede tempo per modificarsi e il rischio è quello di aumentare piuttosto che diminuire gli infortuni nella prima fase. Le nuove calzature andranno quindi utilizzate per brevi tratti di corsa, qualche centinaio di metri, alternati a tratti di camminata. Da uno degli studi pubblicati si evince comunque che non è detto che chi corre con appoggio sul tallone riesca a modificare stabilmente la sua tecnica di corsa e quindi potrebbe essere ancora più esposto al rischio di infortunio con le scarpe minimal. Alla luce di quanto esposto finora, si può affermare che se si è trail runner non più giovanissimi e con una struttura fisica non leggerissima, l’opzione barefoot diventa ancora più rischiosa: si pensi a quanto vengano sollecitate le strutture muscolo tendinee del polpaccio e le articolazioni metatarsali che, per effetto dell’età, tendono naturalmente a essere meno elastiche. Infine, non dimentichiamo che, soprattutto nei trail lunghi, la fatica tende a causare un rallentamento dei riflessi e delle reazioni muscolari ed in queste situazioni l’uso di calzature scarsamente protettive può aumentare il rischio di infortuni.
La salute di ognuno di noi dipende in larga parte dal nostro stile di vita, ci piaccia o no, questa è la realtà delle cose. Errate abitudini alimentari, sedentarietà, stress, fumo, posture scorrette hanno un profondo impatto sul benessere e sulle probabilità di contrarre malattie cardiovascolari, metaboliche (diabete), ortopediche (lombalgia, cervicalgie, osteartrosi) e alcuni tipi di tumore.
E ci sono effetti collaterali anche in ufficio: un basso livello di forma fisica riduce la capacità lavorativa e fa aumentare il numero di ore di assenza per malattia. Per questo, sin dagli anni ’80, si è iniziato a parlare di prevenzione e “corporate Wellness” e si sono avviate iniziative finalizzate a procurare il benessere dei lavoratori e a contribuire al successo dell’azienda che li implementa. Sono infatti numerosi gli studi che analizzano il ritorno dell’investimento in progetti Wellness e che ne dimostrano la grande redditività.
Anche nei paesi come l’Italia, infatti, dove gran parte dei lavoratori sono assistiti dal sistema sanitario nazionale, il costo della malattia per l’azienda è ingente. Soprattutto il trascurare fattori di rischio conduce ad un’aumentata incidenza di patologie e alla perdita di giornate di lavoro.
Si calcola che un programma di corporate Wellness comporti un aumento di produttività giornaliera di circa 15 min./giorno e una riduzione di 21 ore annue dell’assenteismo da infortuni e malattie, per un risparmio totale di 1500 euro per ogni dipendente che costi 35.000 euro/anno.
Come immediata conseguenza si riduce il turn over del personale, con un risparmio – per riduzioni del 2% – di 160 euro. Inevitabile che migliori il clima aziendale e che aumentino le possibilità di attrarre i migliori talenti sul mercato.
Sulla base di queste evidenze Vitalia ha strutturato un apposito check-up per testare lo stato di salute delle aziende. L’obiettivo è la prevenzione delle patologie cardiovascolari, metaboliche ed ortopediche. I dipendenti vengono sottoposti ad una visita e un colloquio di 30-40 min. in cui vengono misurati i parametri clinici utili a definire il profilo di rischio. Ognuno riceve consigli personalizzati su come migliorare le abitudini quotidiane.
Stare bene è un’assunzione di responsabilità verso se stessi.
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