Il nostro nutrizionista Ettore Pelosi (lo presentiamo qui) ci illustra la sua “OmeoDieta”: come e perchè funziona, quali rinunce richiede e quanti (tanti!) vantaggi porta. Un metodo adatto agli atleti ma non solo. Buona lettura e buon appetito!

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L’OmeoDieta si sviluppa da alcuni anni sulla base delle nuove evidenze scientifiche nel campo dell’alimentazione e sulla base delle risposte osservate in ambulatorio nei pazienti e negli sportivi cui è stata adattata. Integra alimentazione e attività fisica e poggia il suo razionale su due principi fondamentali:

La qualità degli alimenti e la loro alternanza nell’arco della settimana sono i punti essenziali di OmeoDieta, una dieta che incoraggia a mangiare di tutto, senza focalizzarsi troppo sulle quantità (tranne in alcuni casi particolari, soprattutto per gli sportivi, nei quali queste possono essere fondamentali). Infatti, il risultato finale è dato dalle risposte ormonali determinate dall’alimento: risposte che sono maggiormente correlate con le sue caratteristiche nutrizionali, piuttosto che con le quantità che ne vengono assunte.

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Cosa vuol dire dieta “alcalinizzante”?

Per il nostro organismo un elevato apporto di sostanze alcaline è fondamentale e aiuta a prevenire l’insorgenza dell’acidosi metabolica latente, responsabile della riduzione generale della nostra qualità di vita, della stanchezza cronica (soprattutto quella mattutina) ed elemento predisponente allo sviluppo di numerose patologie tipiche della società del benessere. Ogni alimento può essere classificato sulla base del suo residuo in acidificante o alcalinizzante, all’interno di una scala definita PRAL (potential renal acid load): alimenti ricchi di proteine e anioni come i formaggi, la carne, il pesce e in minor misura i cereali e i legumi, sono acidificanti; alcalinizzanti quelli ricchi in cationi (frutta e verdura). Perciò una dieta in cui frutta e verdura tornano ad essere gli alimenti quantitativamente più rappresentati (come OmeoDieta o le diete su base vegetale), risulta alcalinizzante.

Qui un esempio di scala PRAL.

L’indice insulinico e l’indice/carico glicemico degli alimenti.

Indice e carico glicemico degli alimenti sono concetti ormai noti alla maggior parte degli addetti ai lavori in campo nutrizionale e non. Alcune diete molto famose sono state basate su di essi. Esprimono, rispettivamente, la velocità con cui il glucosio contenuto in una certa quantità di alimento passa nel sangue e la quantità totale di zuccheri presenti in quell’alimento che passa nel sangue. Le tabelle che esprimono per ogni alimento indice e carico glicemico chiariscono come oltre agli zuccheri semplici, ai primi posti, vi siano le farine e i cerali raffinati, ma anche pane e pizza, la maggior parte dei prodotti di pasticceria, ecc.

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L’indice insulinico di un alimento indica l’incremento dell’insulina che si ottiene a seguito dell’assunzione di 1000Kj (239 Kcal) dello stesso. Questo parametro è più significativo dei primi due; infatti, alimenti che non contengono zuccheri come lo yogurt e il latte presentano un indice insulinico uguale o superiore a quello del pane bianco. Lo studio della risposta insulinica determinata dagli alimenti è fondamentale per prevederne gli effetti complessivi sulla nostra salute.

Qui un esempio di tabella degli indici glicemici.

Dalla teoria alla pratica

Ricapitoliamo dunque le basi razionali dell’OmeoDieta. E’ una dieta:

  1. alcalinizzante
  2. costituita da alimenti e combinazioni alimentari di basso indice insulinico e glicemico
  3. povera di grassi saturi
  4. povera di sostanze pro-infiammatorie come glutine e grassi animali
  5. con apporto ridotto e controllato di sostanze nervine

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Principi che tradotti in azioni concrete diventano:

  1. mangiare in quantità libere verdure e alcuni frutti per alcalinizzare
  2. seguire prevalentemente una dieta dissociata, per ridurre l’indice insulinico e glicemico del pasto. Cioè utilizzare verdure e ortaggi in associazione a carboidrati complessi o proteine (esempio: riso venere con verdure saltate; minestra di lenticchie, petto di pollo al limone con verdure grigliate)
  3. limitare la carne, i formaggi, gli alimenti contenti strutto, burro, margarine, per ridurre i grassi saturi. Prediligere invece le proteine vegetali che si ritrovano nei cereali, nei legumi, nella frutta secca e in piccole, ma significative quantità, nelle diverse verdure, ortaggi, frutta.
  4. limitare il glutine, utilizzando spesso i cereali senza glutine e gli pseudo cereali a rotazione (pseudo cereali: grano saraceno, quinoa e amaranto; cereali senza glutine: riso, miglio, mais; cereali con glutine: frumento, farro, orzo, segale, avena e grano karasau).
  5. limitare le sostanze nervine come quelle contenute in caffè, tè, cacao, cola e alcol.

OmeoDieta: i grandi “no” 

“Dottore, posso fare qualche volta colazione al bar con cappuccino e cornetto?”
“No, perché questo classico della colazione ha un effetto iperinsulinemizzante e ipoglicemizzante. L’insulina infatti viene stimolata contemporaneamente da farina raffinata, zucchero e grassi idrogenati contenuti nel cornetto e da latte e zucchero del cappuccino…”
“Dottore… ma la pizza?”
“Devo proprio ripeterlo ;-)?”

Vuoi una dieta personalizzata? Prenota una visita con il dott. Pelosi.

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A piedi, in bici, sulla neve: le fatiche estreme sono l’ultima frontiera dello sport. Se siete entrati nel tunnel, fate attenzione: non bastano le tabelle e i programmi d’allenamento, serve anche una dieta adeguata. Ne avevamo parlato qui, oggi ci torniamo con uno speciale sulle gare: che cosa e quanto mangiare per arrivare (sani, salvi e in fretta) al traguardo?

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Il mondo dell’ultra-endurance e quello dell’ultra-trail (che ne fa parte) sono in continua crescita sia come numero di eventi che di partecipanti. Si classificano come ultra-endurance tutte quelle attività che si prolungano oltre le 4-6 ore e comunemente riguardano corsa, trail, ciclismo, scialpinismo e triathlon (mezzo Ironman ed Ironman). Cimentarsi con l’ultra-endurance vuol dire andare alla ricerca del proprio limite, fisico e mentale, nel tentativo di raggiungerlo e di spostarlo. Per fare questo è fondamentale un’organizzazione meticolosa e razionale che non preveda solo grandi dosi di allenamento ben strutturato, bensì anche il giusto recupero, insieme all’alimentazione più appropriata e alla preparazione psicologica.
E nel momento della gara, oltre a lavoro, condizione e motivazione, è necessaria una perfetta strategia nutrizionale. Le principali problematiche riscontrate in questo tipo di prove sono infatti tutte strettamente correlate con l’alimentazione. Tre in particolare: la deplezione di glicogeno, la disidratazione o il sovraccarico idrico, i disturbi gastro-enterici. Ecco qualche consiglio.

Chi mangia di più arriva prima

Il dispendio calorico di queste prestazioni è altissimo; si stimano circa 350-750 Kcalorie per ora; in media per un ultra 18.000-80.000 Kcalorie! Queste quantità non sono colmabili nell’arco della competizione e il deficit energetico è da considerarsi la norma. In una gara di ultra, si assiste in tutti i partecipanti ad una riduzione di massa grassa e massa muscolare, ma si evidenzia anche una chiara relazione inversa tra assunzione calorica e tempo finale nella competizione (in poche parole chi mangia di più arriva prima!!!).

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Bastano 3/4 ore per esaurire le scorte di carboidrati accumulati nei giorni prima della gara

L’alimentazione in gara dovrebbe principalmente essere basata su carboidrati con alto indice glicemico; infatti le scorte di glicogeno epatico e muscolare sono limitate. In attività con intensità pari a quelle mantenute nell’ultra-endurance (che non superano il 70% della VO2max) il muscolo necessita sia dei carboidrati che dei lipidi. Ma se i lipidi sono presenti nel nostro corpo in quantità sufficienti a competere per settimane, i carboidrati viceversa sono molto limitati e possono venire a mancare già dopo 3-4 ore dalla partenza. Perciò i carboidrati devono essere consumati in grandi quantità durante la gara (oltre che accumulati in precedenza con il carico glicidico da effettuare negli ultimi due-tre giorni prima della stessa), per mantenere elevati i livelli di glicogeno muscolare, epatico e la glicemia. La quantità di carboidrati dovrebbe rappresentare circa il 70% delle calorie totali (più di 10gr/kg/die), da assumersi attraverso bevande zuccherate (tra il 5 e il 10%), gel iso- ipotonici e alimenti ad elevato indice glicemico, in quantità comprese tra i 30 e gli 80gr per ora.

Bere, ma non troppo

Ma l’area su cui si sono concentrate la maggior parte delle ricerche di questi ultimi anni è quella dell’equilibrio idro-salino. In questo campo, inizialmente, le principali preoccupazioni erano legate al pericolo della disidratazione che si osserva in molti atleti a seguito di un sforzo di lunga durata. Basta infatti una disidratazione del 2% del peso corporeo perché si presentino i primi sintomi legati alla riduzione delle capacità cognitive e fisiche. I lavori più recenti hanno però messo in evidenza che nelle gare di ultra-endurance più che la disidratazione deve preoccupare il sovraccarico idrico e il conseguente rischio della “sindrome iponatriemica associata a sforzo”.

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Troppi liquidi appesantiscono. Nella corsa meglio non superare i 300-500mL/h 

Oggi l’iponatriemia associata a sforzo, insieme ai problemi gastro-enterici, è la più comune complicanza medica che si riscontra in queste competizioni. Numerosi studi hanno evidenziato una chiara correlazione inversa tra cambiamenti del peso e concentrazione del sodio, con gli atleti che incrementano di peso durante la gara (a causa dell’eccessiva assunzione di liquidi), che mostrano le maggiori riduzioni di concentrazione del sodio plasmatico (iponatriemia)! Gli esperti concordano inoltre sul fatto che l’iponatriemia sia legata al sovraccarico idrico e non alle perdite di sodio dovute alla sudorazione. Gli atleti delle ultra-endurance perciò devono limitare l’assunzione di liquidi a 300-500mL/h nella corsa (500-800 mL/h durante la bici) con un’ulteriore limitazione nelle donne e nei soggetti più magri.

Zuccheri e sodio per l’intestino

Oggi si ritiene che bevande contenenti un 5-10% di glucosio, polimeri del glucosio (maltodestrine) e altri zuccheri semplici non determinino alterazioni della funzione gastro-enterica, e la loro assunzione consente di provvedere contemporaneamente al reintegro dei liquidi e degli zuccheri necessari per la competizione. Nelle prove di Ironman, l’assunzione orale di sodio (500-1000 mg/litro) è stata associata ad un lieve ma non significativo aumento delle concentrazioni di sodio e ad una riduzione della perdita di peso, evidenziandone un possibile ruolo nel mantenimento dell’equilibrio idro-salino. Inoltre la presenza di sodio in bevande contenenti glucosio o altri zuccheri semplici, ne facilita l’assorbimento intestinale. L’insorgenza di problemi gastro-enterici è stata correlata con l’assunzione di soluzioni ipertoniche (con concentrazioni di zucchero troppo elevate), fibre, grassi e proteine.

_MG_5399Per gli sci alpinisti c’è una difficoltà in più: il freddo non aiuta la digestione 

La comparsa di disturbi intestinali obbliga a ridurre l’intensità dell’esercizio sostenuta fino a quel momento e ad interrompere l’assunzione di tutto (liquido o alimento che sia). In queste fasi, l’unica alternativa per aiutare la mente è rappresentata dal periodico risciacquo della bocca con soluzioni di acqua e zucchero (al 5-10%) per alcuni secondi (5”); sembra infatti che attraverso recettori presenti nella cavità orale, il glucosio sia in grado di stimolare aree del sistema nervoso centrale legate alla motivazione ed alla percezione di fatica (con aumento della motivazione e riduzione della sensazione di fatica).

In conclusione nelle prove di ultra-endurance è essenziale pianificare la più appropriata delle strategie nutrizionali, onde ottenere una migliore performance e completare la gara in sicurezza. Per tutti gli atleti che intendono cimentarsi in queste competizioni è importante che durante gli allenamenti si tenga conto anche di questi aspetti e che si alleni la capacità di alimentarsi e di idratarsi con gli alimenti/liquidi più appropriati.

Clicca qui per leggere la bibliografia.

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Primo articolo del dott. Ettore Pelosi, medico, nutrizionista e maratoneta, appena entrato nel team Vitalia. In attesa di conoscerlo potete assaggiare qui la sua “Omeodieta” e scoprire perché sono importanti i carboidrati nell’alimentazione di chi pratica sport di fatica. 

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Da sempre l’alimentazione è fondamentale nella preparazione atletica e non c’è sportivo di qualunque livello che non abbia maturato le proprie convinzioni sul tema. Ma, soprattutto, su una ideale supplementazione: termine con cui s’intende l’assunzione di elementi nutrizionali necessari a supportare il surplus di energia richiesto dal metabolismo dell’atleta. Insieme ad allenamento e recupero, l’alimentazione è oggi considerata la base per la preparazione dello sportivo professionista ed amatoriale. E non ci sono più dubbi sul ruolo preminente dei carboidrati per lo svolgimento dell’attività sportiva: sono la fonte energetica essenziale e limitante di qualsiasi disciplina.

Le riserve

Bisogna sapere infatti che durante i periodi di allenamento intenso i depositi muscolari di glicogeno vanno incontro ad ampie fluttuazioni giornaliere: le riserve corporee sono limitate e possono durare da un minimo di 90 minuti fino ad un massimo di 3 ore per allenamenti di moderata/elevata intensità (65-85% VO2max). La riduzione di tali riserve si associa ad esaurimento durante l’esecuzione di un esercizio intenso e prolungato, ma anche all’aumento degli infortuni muscolari ed alla depressione del sistema immunitario.

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Per sostenere le migliori performance atletiche sono quindi indicate diete ad alto contenuto di carboidrati, basso contenuto di lipidi e moderato contenuto di proteine. Infatti, il principale obiettivo nutrizionale è quello di garantire il fabbisogno energetico per i muscoli e gli altri tessuti, onde ritardare la comparsa della fatica, promuovere gli adattamenti muscolari attivati con l’allenamento e consentire il ripristino delle riserve di glicogeno muscolare e la riparazione delle fibre danneggiate.

L’equilibrio energetico

Un’adeguata assunzione energetica è insomma condizione necessaria (purtroppo non sufficiente) per il raggiungimento di una prestazione atletica ottimale. Un regime equilibrato rispetto ai fabbisogni è il pilastro portante dei condizionamenti anatomo-funzionali promossi dall’allenamento e finalizzati al raggiungimento della migliore forma atletica. Un corretto bilancio energetico si ottiene quando l’assunzione calorica (risultante della somma dell’energia ricavata da alimenti, liquidi e supplementi) eguaglia la spesa energetica (risultante dalla somma del metabolismo basale, effetto termico degli alimenti e spesa energetica per lo svolgimento delle attività giornaliere e dell’allenamento).

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È importante che durante i periodi di allenamento gli sportivi assumano quantità sufficienti di calorie per mantenere peso e composizione corporea appropriati. Livelli inadeguati di assunzione calorica determinano la compromissione delle prestazioni e dei benefici derivanti dall’allenamento: la perdita della massa magra determina perdita di forza e resistenza muscolare così come compromissione delle funzioni del sistema immunitario, endocrino e muscolo-scheletrico. Il perdurare di un basso introito calorico può anche determinare uno stato di malnutrizione con alterazioni metaboliche secondarie a deficienze di nutrienti e riduzione del metabolismo basale.

Per far fronte a tutto questo, il nutrizionista deve stimare correttamente le necessità caloriche dell’atleta, che variano in funzione del sesso, dell’età, dei principali valori antropometrici, della composizione corporea, del tipo di sport praticato e delle ore di allenamento. Dovrà inoltre impostare una supplementazione adeguata e personalizzata.

Qualche numero

La dieta di uno sportivo è equilibrata se i vari carboidrati (fonte energetica primaria e limitante per qualsiasi disciplina sportiva) coprono il 55-70% delle calorie totali giornaliere (idealmente 10-15% oligosaccaridi, 40-60% polisaccaridi). In realtà, più che di percentuale di apporto calorico è opportuno parlare di introiti in grammi per kilo di peso corporeo.

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Si tenga inoltre presente che recenti raccomandazioni circa l’assunzione giornaliera di carboidrati riconoscono per i diversi gruppi di atleti quantità diverse in funzione della dimensione corporea e del carico di lavoro in allenamento. I target di 7-10 g/Kg (ma anche fino a 12) per carichi più intensi e 5-7 g/Kg per carichi più moderati rappresentano una raccomandazione generica che deve essere, tuttavia, adeguata agli obiettivi nutrizionali ed ai riscontri prestazionali di ogni singolo atleta. Infatti l’elemento più importante nella determinazione delle riserve di glicogeno muscolare è la quantità di carboidrati assunta; gli studi dedicati, sebbene estremamente eterogenei, suggeriscono che esista una relazione diretta e positiva tra quantità di carboidrati assunta e deposito intramuscolare di glicogeno, almeno fino a che non sia stata raggiunta la soglia di accumulo muscolare. Attenzione: a differenza dei depositi di lipidi, quelli di glicogeno sono molto limitati e, quando massimali, sufficienti per coprire dispendi energetici nell’ordine di 2000 kcal. Così con la riduzione del glicogeno muscolare si riducono sia l’intensità del lavoro muscolare che quella dell’esercizio fisico. La riduzione del glicogeno muscolare si associa anche ad infortuni muscolari e depressione del sistema immunitario.

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L’importanza del recupero

Atleti di ogni disciplina devono pertanto essere in grado di ristabilire le riserve muscolari di glicogeno tra due sessioni di allenamento giornaliere e/o tra due allenamenti in giorni consecutivi. Assunzioni elevate di carboidrati migliorano la performance nella singola sessione di allenamento così come il recupero e la performance nella sessione successiva. Talvolta però, nonostante un’adeguata assunzione di carboidrati, le concentrazioni di glicogeno muscolare possono non essere completamente ristabilite nelle 24-48 h successive ad una gara/allenamento molto stressante (come per esempio nella maratona). In questo caso l’allenamento dovrebbe essere ridotto o i tempi di recupero tra due sessioni aumentati, onde evitare il rischio di infortuni. E’ chiaro che i benefici che si possono trarre favorendo un recupero rapido e completo tra due sessioni di allenamento si possono trasformare nel tempo in un migliore adattamento all’allenamento stesso e, di conseguenza, in un miglioramento delle performance in gara.

Clicca qui per leggere la bibliografia.

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