Che differenza c’è tra intolleranze ed allergie alimentari? Come si manifestano? Quante persone ne soffrono? Tutti ne parlano, ma pochi conoscono veramente il tema, così prevale il caos. Abbiamo chiesto al nutrizionista di Vitalia, Ettore Pelosi, di aiutarci a capire il problema.

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Di intolleranze ed allergie alimentari si sente parlare tanto e sempre più spesso. Ormai queste due parole sono entrate nel vocabolario comune se non giornaliero della maggior parte di noi: il passa parola, poi, aiuta ad aumentare il caos perché ognuno dice la sua, ha sempre un consiglio o una soluzione originale e, poiché nessuno sa davvero di cosa si stia parlando, la confusione regna sovrana… Così accade che non ci sia praticamente persona che almeno una volta non si sia posta il problema e non abbia provato ad eliminare un alimento piuttosto che un gruppo di alimenti dalla sua tavola ritenendoli responsabili di un peggioramento della propria salute.

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D’altra parte è verissimo che le intolleranze e le allergie alimentari rappresentano un problema di grande rilevanza che coinvolge una porzione ampia della popolazione e questo giustifica la grande attenzione che stanno ricevendo e il gran parlare che se ne sente fare. Un po’ meno giustificate alcune soluzioni fai da te, spesso piuttosto estreme: per supposte intolleranze, parecchie persone cominciano con l’escludere un alimento e poi giù giù in una reazione a catena che finisce col ridurle a mangiare pochissime cose …naturalmente senza alcun beneficio!

Certo, il tema è complesso, e orientarsi per la maggior parte delle persone, ma anche per il professionista, è piuttosto difficile. Abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza con poche semplici battute.

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Che cosa si intende per intolleranza e cosa per allergia? Qual è la differenza?
L’allergia alimentare è una reazione immuno-mediata che si determina nel momento in cui l’alimento viene ingerito. Viceversa, si parla di intolleranza alimentare quando la reazione non è provocata dal sistema immunitario.

Quante persone ne soffrono?
Le intolleranze sono più comuni delle allergie. A livello europeo si stima una prevalenza di reazioni avverse al cibo del 7,5% nei bambini e del 2% negli adulti; negli Stati Uniti si stimano un 8% di reazioni avverse al cibo nei bambini sotto i sei anni, con reazioni allergiche tra il 2 e 4%; la prevalenza negli adulti è stimata invece tra 1 e 2%.

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Quali sono le intolleranze e le allergie più comuni?
Le allergie più comuni sono quella alle proteine del latte vaccino (tipica dei bambini) e quella ai differenti tipi di noci (frequente per adulti e bambini). Tra le altre sono compresi alimenti come il pesce, i crostacei, l’uovo, i semi oleaginosi (come il sesamo, il girasole, il papavero), la senape, ecc., ma anche additivi alimentari e solfiti. Per quanto riguarda le intolleranze, al momento la medicina convenzionale ne ha accertati due soli tipi: quella al lattosio e quella al glutine (celiachia).

Quali sono i sintomi di intolleranza ed allergia?
La reazione allergica ad un alimento può presentarsi con sintomi molto differenti che coinvolgono alcuni organi/apparati come quello respiratorio (naso che cola / naso congestionato, tosse, starnuti, respiro affannoso), cutaneo (gonfiore di labbra, bocca, lingua, faccia, gola, rossore e prurito cutaneo, orticaria, eczema), gastroenterico (gonfiore, meteorismo, crampi, coliche, diarrea, nausea e vomito), oppure, nel peggiore e più eclatante dei casi, con lo shock anafilattico. L’intolleranza può provocare sintomi simili ad alcuni di quelli elencati: in particolare la nausea, il gonfiore, le coliche, la diarrea, le reazioni cutanee o dell’apparato respiratorio, ecc. ecc.

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Quali sono i test diagnostici?
Purtroppo, mancano procedure diagnostiche idonee e sono pochi i test che hanno una validazione scientifica. Per la celiachia è possibile testare la presenza di alcuni anticorpi, valutare l’HLA e fare la biopsia duodenale; per il lattosio c’è il breath test. Si possono utilizzare test di eliminazione, che prevedono di togliere dalla dieta un alimento per un periodo che di solito è di due settimane; poi se scompaiono i sintomi, si provvede alla sua successiva reintroduzione. Ci sono inoltre i test cutanei per valutare le allergie (prick test – per i quali si iniettano allergeni sotto-cute) e i RAST test (per i quali si usa il sangue del paziente).

In una realtà così complessa e, verosimilmente, in espansione, sicuramente sarà sempre più utile imparare a muoversi, prevenendo quando possibile con diete appropriate o, in caso di accertata intolleranza / allergia, imparando a scegliere molto accuratamente!

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Artrosi alle ginocchia? La soluzione si chiama acido ialuronico: una sostanza che il nostro corpo produce naturalmente, ma che in alcuni casi va integrata tramite infiltrazioni. Il “doc” Massarini spiega come funziona la terapia e quali novità propone Vitalia agli sportivi.

L’artrosi

L’artrosi del ginocchio è una delle patologie più diffuse ed invalidanti e consiste in una degenerazione delle cartilagini che ricoprono i capi articolari di questa articolazione. Si stima che l’80% della popolazione sopra i 55 anni presenti segni radiologici della patologia: spesso è causata da sovrappeso e favorita dalla sedentarietà, ma anche molti sportivi lamentano problemi alle cartilagini per traumi ripetuti. Le evidenze mediche supportano la necessità di praticare attività fisica moderata per prevenire l’insorgenza della malattia e per rallentarne il decorso, ma un altro importante aiuto ci viene dalla farmacologia e dall’acido ialuronico: una sostanza che viene iniettata direttamente nell’articolazione.

Cos’è l’acido ialuronico

La sostanza è presente in alta concentrazione in alcune parti del corpo umano. In particolare

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acido ialuronico artrosi

L’acido ialuronico contenuto nei tessuti viene continuamente metabolizzato ed eliminato: per cui è fondamentale che l’organismo continui a sintetizzarne di nuovo per rimpiazzare quello metabolizzato. Con l’invecchiamento, o in presenza di particolari condizioni patologiche, la produzione di acido ialuronico tende a diminuire, favorendo così la comparsa del processo osteoartrosico. 

A cosa serve

Perchè se manca l’acido ialuronico cominciano i dolori? Esso è presente nel liquido sinoviale che bagna le superfici articolari. Questo liquido agisce assorbendo gli urti e lubrificando le parti mobili articolari: protegge così la cartilagine articolare e trasporta le sostanze nutritive alle cellule della cartilagine stessa. All’interno dell’articolazione, dunque, l’acido ialuronico svolge un doppio ruolo: per la sua capacità di interagire con recettori specifici ricopre un’azione antiinfiammatoria e per le sue proprietà viscoelastiche diminuisce gli attriti delle superfici cartilaginee deteriorate.

acido ialuronico ginocchio

In situazioni di particolare carenza, è dunque indispensabile integrare la produzione naturale con i farmaci. L’offerta è ampia: in funzione della gravità del processo degenerativo si possono iniettare preparati con caratteristiche diverse. In caso di patologia di grado lieve o moderato, si sceglierà un acido ialuronico di peso molecolare ottimale (peso molecolare 500-730 KDa) per svolgere i suoi effetti biologici sulla cartilagine; nei casi di grado severo, dove la cartilagine è irrimediabilmente compromessa e quindi l’effetto biologico risulta meno importante, si utilizzerà un acido ialuronico con adeguate caratteristiche visco-elastiche.

Quantità e frequenza dei trattamenti vanno valutati caso per caso, ma in linea generale negli anziani si operano tre infiltrazioni a distanza di una settimana una dall’altra, da ripetere ogni 3-6 mesi in base alla sintomatologia.

Un prodotto ancora più efficace per gli sportivi

Vitalia propone da tempo la terapia e ha recentemente introdotto un nuovo preparato particolarmente utile agli atleti.

sci alpinismo e acido ialuronico per sportivi

La ricerca farmaceutica, infatti, ha elaborato una sostanza che esercita un’attività biologica anti-infiammatoria e di rallentamento della progressione del danno cartilagineo ed ha al contempo un forte potere lubrificante. Essa funziona inoltre come shock-absorber: grazie alle caratteristiche viscoelastiche del biopolimero, che si comporta come un cuscinetto protettivo tridimensionale.

La nuova molecola di acido ialuronico si chiama HYADD 4 e  grazie alla particolare struttura chimica rimane in articolazione fino a 28 giorni ed è in grado di mantenere la sua struttura a reticolo tri-dimensionale, e quindi l’effetto shock-absorber, anche dopo sollecitazioni ripetute. L’elevato potere lubrificante riduce inoltre l’attrito tra le superfici cartilaginee e favorisce l’instaurarsi dei processi riparativi della cartilagine, messi in moto dallo stesso polimero attraverso le sue proprietà biologiche: si ottiene così un miglioramento della funzionalità articolare.

Lo HYADD 4 è dunque particolarmente adatto per quei pazienti affetti da osteoartrosi lieve-moderata che conservano uno stile di vita dinamico e per gli sportivi che hanno subito danni articolari cartilaginei acuti o da over-use. In questi casi esso può rallentare l’evoluzione del danno e ridurre il dolore. Un ulteriore vantaggio è che bastano due sole infiltrazioni per ottenere miglioramenti per molti mesi.

Esercizi associati alla terapia dell'acido ialuronico

Non bastano le infiltrazioni

Certo non è sufficiente la terapia infiltrativa: va associata ad un adeguato programma di esercizio fisico e rinforzo muscolare. Infatti la corretta attivazione muscolare permette all’articolazione di muoversi con maggiore controllo e quindi di ridurre il traumatismo sulla cartilagine. L’approccio rieducativo deve essere quello della ricostruzione degli schemi motori che risultano per forza alterati a causa del dolore cronico. Va studiato dunque per ciascun paziente un piano di esercizi, che seguendo la progressione codificata nell’Ability Training (ne parliamo qui), stimoli il recupero funzionale del gesto atletico.

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La bioimpedenziometria è una metodica poco conosciuta, ma di grande importanza nella pratica nutrizionale. Da alcuni mesi il nostro nutrizionista Ettore Pelosi la propone agli atleti e ai pazienti di Vitalia: ci spiega perché e come funziona. 

Filippo Barazzuol, skialper azzurro e atleta Vitalia, si sottopone al BIA test

 

Che cos’è la BIA

La bioimpedenziometria (BIA) fornisce dati quanti-qualitativi della composizione corporea, dell’idratazione e dello stato nutrizionale di un soggetto. Il suo uso negli ultimi anni è molto cresciuto, in quanto l’esame è effettuabile con una strumentazione portatile, non è invasivo né doloroso e i risultati sono rapidi da ottenere e riproducibili. Vari studi ne hanno dimostrato l’efficacia.

Come funziona il test

Prima della misurazione il paziente viene fatto sdraiare con gambe e braccia leggermente abdotte in modo che le braccia non tocchino il tronco e le cosce non si tocchino tra loro. Una volta posizionato il paziente e collegati gli elettrodi ai morsetti, si avvia lo strumento che fa passare una corrente impercettibile che, viaggiando lungo il corpo, incontrerà resistenze diverse a seconda della composizione dei vari distretti: il bioimpedenziometro ne registra le modificazioni. L’esame dura pochi secondi e non vi sono effetti avversi.

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Per dimagrire non basta la dieta. Occorre una valutazione con il BIA test

 

Valutare acqua totale, massa grassa e massa magra

Sulla base dei dati registrati il software calcola la TBW (acqua totale corporea) che rappresenta circa il 60% del peso corporeo di un uomo adulto (ha un valore maggiore nei bambini e minore nelle donne e negli obesi). Dalla TBW si può calcolare la FFM (massa magra corporea) costituita da muscoli, ossa, minerali ed altri tessuti non grassi e a sua volta composta da BCM (Massa Tissutale Attiva) e ECM (Massa Extracellulare). La FM (massa grassa corporea) viene calcolata per sottrazione tra peso e FFM ed è costituita dai tessuti adiposi esterni, identificati come grasso sottocutaneo, e da quelli interni o grasso viscerale (per approfondire c’è questo articolo).

Niente dieta senza Bia

Prima di intraprendere qualsiasi terapia dietetica è fondamentale eseguire un’analisi accurata della composizione corporea. Il BIA test consente di calcolare BCM, FM e TBW. Monitorando il loro andamento sarà possibile verificare l’adesione ed il successo della terapia/regime instaurato. Grazie all’analisi BIA è infatti possibile valutare se le variazioni del peso corporeo di un soggetto sono imputabili a perdita o aumento di acqua, oscillazioni di massa cellulare attiva o massa grassa. Ognuno di questi parametri si muove con tempi e modalità differenti: l’acqua può oscillare da un giorno all’altro anche di alcuni litri (ecco perché il nostro peso si modifica continuamente); la massa cellulare attiva può modificarsi di etti nell’arco delle 24 ore (diete mal pianificate causano rapide perdite di BCM con conseguente riduzione del metabolismo basale); la massa grassa, l’unica che davvero si vorrebbe modificare al ribasso, si riduce meno di 100 grammi al giorno (è impossibile monitorare con una bilancia una perdita o un aumento di massa grassa tra due giorni consecutivi!!).

Sportivi, un aiuto per allenarsi meglio

La BIA è indispensabile per gli atleti: permette di ottimizzare i programmi di allenamento, adattare il regime dietetico ai carichi di lavoro e mantenere lo stato di idratazione ideale per ottimizzare la performance sportiva. Per lo sportivo è importante controllare la BCM e le sue modificazioni durante l’allenamento, per evitare una loro diminuzione che si può avere in caso di sedute troppo intense o prolungate (overtraining), o di un regime alimentare inadatto al tipo di esercizio svolto (ne abbiamo parlato qui). Inoltre la BIA consente di valutare lo stato di idratazione, un parametro di grande rilevanza negli sport di resistenza dove una leggera disidratazione può provocare considerevoli cali della performance. Quando lo stato di idratazione pre-gara o pre-allenamento è ottimale esiste un rischio minore di disidratazione, di eventi traumatici muscolari e una maggiore velocità di recupero delle condizioni fisiche ottimali.

La BIA insomma è una strumento fondamentale per il nutrizionista: consente di verificare nei pazienti gli effetti di regimi alimentari e di tabelle sportive a livello di ogni compartimento, e di adattarli alle specifiche esigenze!

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Corsa, ciclismo, triathlon, trail running, scialpinismo: che cos’hanno in comune gli sport di resistenza? La fatica e la bellezza. Ma anche il metodo: in tutte queste discipline è vietato improvvisare. Occorre valutare il motore dell’atleta con test specifici e adeguare gli allenamenti e gli obiettivi alle capacità di ciascuno. [Foto Credits Federico Ravassard]

Perché misurare la soglia anaerobica

Capita molto spesso di allenarsi con impegno e dedizione e di non raggiungere tuttavia i risultati sperati, capita di avere dei cali di prestazione, capita di finire le energie durante la gara a cui si teneva particolarmente. Questo perché negli sport di resistenza è fondamentale conoscere quanto più precisamente possibile le caratteristiche individuali. Sapere cosa chiedere al proprio fisico è fondamentale per impostare il ritmo della competizione e per arrivare alla fine ancora in buone condizioni. Gli studi dimostrano che per raggiungere lo scopo c’è un solo metodo: effettuare un test di valutazione come il test di soglia (o test del lattato). usarne i risultati in maniera organizzata. 

La valutazione

Attraverso i test di valutazione sarà infatti possibile pianificare l’allenamento in maniera personalizzata e finalizzata al tipo di gara che si intende affrontare. Il test più significativo per capire come “gira il motore” di un’atleta di endurance è il test di soglia anaerobica mediante la misurazione del lattato ematico (potete approfondire leggendo questo articolo o con il video della prova nel nostro ambulatorio).


La prova è finalizzata ad individuare con la massima precisione le velocità di corsa o la potenza di pedalata (nel caso del ciclismo) a cui si possono impostare le diverse intensità di allenamento: fondo lungo, fondo medio, soglia anaerobica. Il test di soglia permette quindi di costruire un grafico in cui frequenza cardiaca e lattato ematico sono in funzione della velocità o della potenza espressa.

L’interpretazione

Precisiamo subito che non esistono interpretazioni “assolute” dei valori ottenuti, in quanto essi vanno analizzati in funzione dello sport o della competizione in cui si deve gareggiare.
Per fare alcuni esempi, il nostro organismo deve essere allenato diversamente se l’obiettivo è una maratona o una gara di 10 km, oppure una granfondo di ciclismo. Inoltre, i dati ottenuti dovranno inoltre essere “letti” in base al livello dell’atleta: un podista di buon livello correrà la mezza maratona a velocità simili o poco superiori a quella della soglia anaerobica, mentre un amatore di livello basso dovrà scegliere un ritmo compreso tra il medio e la soglia.

Non basta eseguire il test: occorre analizzarne i risultati e pianificare l’allenamento di conseguenza

 

Se nella corsa il ritmo di gara sarà all’incirca costante, ben diversa è la situazione nel ciclismo dove le caratteristiche altimetriche del percorso detteranno le intensità di sforzo. In una gara con salite brevi sarà quindi possibile superare per alcuni minuti l’intensità di soglia mentre su tracciati con salite lunghe sarà indispensabile non oltrepassare questi ritmi per evitare di trovarsi in crisi. Il concetto di soglia anaerobica è infatti collegato al tipo di metabolismo attivato dall’organismo per produrre energia: per intensità inferiori a questo limite le energie vengono prodotte dalla combustione di una miscela di grassi e zuccheri che si arricchisce di questi ultimi all’aumentare dell’intensità. È pertanto chiaro che se si sovrastimano le proprie capacità ci si possa trovare in riserva di energie e la conseguenza sarà un drammatico calo della prestazione. Questo momento di crisi è stato descritto come il “muro” contro cui il maratoneta rischia di “sbattere” oltre il trentesimo km o la crisi di fame che assale il ciclista nelle granfondo. Qualunque sia, il calo di prestazioni ha la stessa meccanica: ritmo troppo elevato e conseguente esaurimento delle riserve glucidiche. Ecco quindi che per scongiurare questi rischi, la conoscenza delle proprie caratteristiche risulta preziosa per impostare allenamento e gara.

La pianificazione dell’allenamento

Il test del lattato definisce molto bene le capacità dell’atleta e quindi indica all’allenatore su quali metodiche e intensità impostare le sedute di preparazione. Facciamo alcuni esempi: il maratoneta o il triathleta (1/2 Ironman o Ironman) dovranno essere allenati a utilizzare quanto più possibile i grassi e ad accumulare quanto meno lattato possibile. Le loro prestazioni durano infatti diverse ore a ritmo costante senza sostanziali variazioni di intensità. La loro preparazione dovrà quindi essere impostata sul fondo lungo e medio e su lavori ad intensità progressiva fino alla soglia e su ripetute lunghe. In tal modo si allenerà la muscolatura al metabolismo aerobico.

L’interpretazione deve considerare la disciplina e il livello dell’atleta

 

Ben diverso sarà l’allenamento per una 10 km o per una gara di ciclismo di 50 km in circuito. In questi casi sarà importante preparare anche la capacità di mantenere ritmi di soglia e sopra soglia e quindi ci si dovrà allenare a queste intensità. In questi atleti, le caratteristiche fisiologiche sono diverse e permettono di esprimere quantità di lattato più elevate al termine della prova.

Il valore di riferimento della soglia anaerobica, che per molti coincide con le 4 mmoli, non può quindi essere considerato valido in assoluto ed il test deve essere interpretato su base individuale. Comunque, semplificando si può dire che negli atleti che compiono performance lunghe e a ritmo costante la soglia è di solito inferiore alle 4 mmoli, mentre negli atleti che gareggiano in prove di 60-90 min o con frequenti variazioni di ritmo e di intensità, il valore può essere anche superiore al dato di riferimento standard.

Una goccia di sangue prelevata dal lobo dell’orecchio è sufficiente per il test

 

Quando effettuare il test di soglia?

Considerando che le indicazioni sul livello di performance fornite dal test dovrebbero guidare la programmazione degli allenamenti, è consigliabile eseguire la prova a circa 2-3 mesi dall’evento agonistico a cui ci si sta preparando. Quest’arco di tempo consentirà di correggere eventuali lacune della preparazione e comunque di finalizzare al meglio il periodo pre-competizione. Un atleta di buon livello che affronta diverse gare nell’arco dell’anno dovrà ripetere la valutazione ogni 3-4 mesi per controllare lo stato di forma ed adeguare i carichi di lavoro consequenzialmente. E’ comunque importante che ogni test sia effettuato in situazioni costanti e quindi senza aver fatto allenamenti intensi o gare nei due giorni precedenti e soprattutto con lo stesso protocollo.

Il test di soglia va effettuato almeno 2/3 mesi prima della gara

 

Ciclisti, misurate la potenza

Una considerazione finale rivolta ai ciclisti riguarda l’utilizzo in bici dei dati ottenuti dalla prova: durante il test si misurano la FC ed il lattato in riferimento alla potenza erogata. I dati finali sono quindi indicativi delle potenze (in watt) da sviluppare ai vari ritmi di allenamento mentre la frequenza cardiaca può variare anche significativamente da un giorno all’altro (per approfondire c’è questa ricerca). E’ quindi importante poter disporre, sulla bici, di un misuratore di potenza che rilevi con precisione i watt erogati nella pedalata (ne abbiamo parlato qui). Solo in questo modo sarà infatti possibile utilizzare al meglio le indicazioni dal test di soglia.

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Nuovo anno, nuovi progressi. Che cosa porterà il 2016 a Vitalia? Sicuramente ancora più tecnologia, numeri, analisi. Il futuro è studiare il movimento in modo sempre più preciso: nella nostra palestra è già presente. Ecco alcuni strumenti che abbiamo sperimentato negli scorsi mesi e siamo pronti ad usare con voi. 

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Lo skialper Filippo Barazzuol (qui la sua storia) al lavoro con Riablo

Si fissano i sensori al torace, alle cosce ed alle gambe, si inizia un movimento ed ecco che sullo schermo davanti a noi appare la nostra silhouette; adesso alziamo una gamba e vediamo che con lo spostamento del corpo facciamo passare un’oggetto attraverso un cerchio. Oppure saliamo su una tavoletta sensorizzata e facciamo uno slalom tra gli ostacoli del video spostando il peso da una gamba all’altra.

Prepariamoci a fare un salto da fermi, siamo in posizione, in mezzo a due barre sul pavimento che attraverso un fascio di luce a infrarossi calcolano quanto per quanto tempo ci stacchiamo da terra, due telecamere filmano il movimento e immediatamente è disponibile il video dell’esercizio pronto ad essere analizzato. Corriamo su un tapis roulant e lunghezza di ogni passo, durata dell’appoggio a terra, simmetria della falcata vengono calcolate e analizzate. Sono le nuove tecnologie, quelle che ci permettono di guardare il movimento, di misurare gli angoli delle articolazioni, di capire come vengono attivati i muscoli. Analizzare, correggere, migliorare.

Queste sono le direzioni verso cui stiamo andando e queste sono le nuove strade che ci piace percorrere per aumentare le capacità di curare e far tornare in attività i nostri pazienti. Il nostro obiettivo è cercare attrezzature innovative ma al contempo facili che, senza procedure complicate, permettano di aggiungere informazioni ad ogni seduta. Crediamo che la rieducazione al movimento debba inevitabilmente passare dalla ricostruzione di schemi motori che, partendo da movimenti semplici, arrivi all’esecuzione di esercizi sempre più complessi. Per raggiungere l’obiettivo, il biofeedback fornito da strumentazione e software fornisce un enorme aiuto al medico, al trainer ed al paziente.

Riablo, esercizi guidati e test

I cinque sensori inerziali di Riablo, ad esempio, si indossano con fasce elastiche e trasmettono i movimenti degli arti e del tronco ad un tablet o ad un PC via Bluetooth. Insieme alla pedana di pressione acquisiscono informazioni tridimensionali della persona che esegue l’esercizio. I dati vengono poi elaborati dal software e l’utente può vedere in tempo reale il proprio movimento sul video. Tutti i movimenti eseguiti dall’utente sono preparati e selezionati dal professionista: Riablo permette in modo semplice di guidare verso la perfetta esecuzione di ogni esercizio fornendo importanti elementi di valutazione del gesto.

Tra le varie funzioni disponibili, Riablo ne ha una particolarmente utile per il trattamento di pazienti infortunati al ginocchio. L’azienda produttrice, CoRehab, ha infatti rilasciato il software “Back in action”, una batteria innovativa di test composta da 7 esercizi (inventati assieme al FIFA Medical Center of Austria) per valutare la capacità di ritornare allo sport di un paziente che ha subito un intervento chirurgico di ricostruzione del LCA (legamento crociato anteriore). Tutti i risultati sono confrontati con dati normativi della stessa età e sesso del paziente e, se un solo test viene misurato al di sotto del valore di norma, l’indicazione fornita è che al paziente non è permesso tornare allo sport. Il test è anche ampiamente utilizzato come strumento di valutazione per gli arti inferiori dal momento che è in grado di misurare Equilibrio, Agilità, Forza e Velocità separatamente o insieme, fornendo una chiara indicazione su eventuali asimmetrie. Il test viene utilizzato da atleti e non in tutto il mondo, con particolare attenzione allo sci, al calcio, il basket e la pallavolo.

Lo usiamo anche noi di Vitalia: insieme a tanta altra tecnologia che ci permette di rendere il nostro servizio sempre più efficace e risolutivo.

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Sull’ultimo numero di Ski Alper raccontiamo il lavoro che stiamo facendo con Filippo Barazzuol, azzurro dello sci alpinismo. Tecnologia, pianificazione, numeri: dove lo porterà il metodo Vitalia? I primi segnali sono incoraggianti. Forza Filippo! Ecco l’articolo che trovate anche in edicola. Foto credits: Federico Ravassard.

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Nello skialp non c’è un modello ben definito per impostare la preparazione, si prende spunto da altri sport, ci si confronta con altri, spesso si va a sensazioni. E magari, come negli ultimi anni, ci si fa prendere dalla mania dei grandi dislivelli in allenamento. Il dott. Massarini e il suo staff, invece, mi seguono costantemente da un punto di vista fisiologico: grazie alla tecnologia riusciamo ad avere un feedback sull’andamento degli allenamenti immediato, nonostante la distanza e gli impegni reciproci. [Filippo Barazzuol]

Dal laboratorio alla neve

L’esperienza acquisita in questi anni con scialpinisti amatoriali ci ha permesso di mettere a punto un sistema di valutazione-pianificazione-controllo dell’allenamento per fornire supporto durante la stagione agonistica. Quest’anno, l’atleta di punta su cui sono concentrate le attenzioni è Filippo Barazzuol, nazionale di skialp.

Valutazione

Il principio è quello delle auto da corsa: vogliamo conoscere le caratteristiche di motore e telaio. Si parte quindi dalla valutazione dell’atleta in laboratorio.

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Il primo test è quello per la determinazione del massimo consumo di ossigeno e delle soglie aerobica ed anaerobica. La prova si effettua sul nastro trasportatore in salita e ogni 4’ si preleva una goccia di sangue dall’orecchio per misurare l’acido lattico, si rileva la frequenza cardiaca, quindi si passa allo step successivo aumentando velocità e pendenza. Alla fine della prova vengono analizzati i valori rilevati e si calcolano le frequenze cardiache a cui impostare le sedute di allenamento. Inoltre, l’andamento del test fornisce indicazioni utili su come orientare il successivo periodo di allenamento.

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La seconda serie di prove analizza la forza muscolare e la mobilità articolare. Un sistema dotato di accelerometri isoinerziali applicati al corpo dell’atleta permette di tracciare e ricostruire il movimento con assoluta precisione e, nel caso in cui appaiano delle alterazioni o delle asimmetrie, sarà possibile allenare e correggere i movimenti.

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Si passa quindi all’analisi della composizione corporea per quantificare la percentuale di massa grassa, massa muscolare e acqua intra ed extra-cellulare. I numeri ottenuti consentono di verificare che i valori siano in linea con i target ottimali e di calcolare con precisione le calorie e le percentuali di carboidrati, proteine e grassi da fornire con la dieta.

[message type=”info” title=”I numeri di Filippo Barazzuol”]

Età: 26
Altezza: 183 cm
Peso: 75 kg
Massa grassa: 9%
VO2 Max: 72 mlO2/kg/min
FC max: 186 bpm
FC soglia anaerobica: 172 bpm
H allenamento/sett.: 15-20
M D+/sett.: 7.500-9.000 m.

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Pianificazione 

Il secondo step del lavoro è pianificare l’allenamento insieme all’atleta. In genere si formula una proposta di massima per il mese successivo ma si è sempre pronti a modificare i programmi su base settimanale in base al meteo ed alle sensazioni sul recupero. Il programma viene trascritto nel sito del cardio-gps usato in modo che sia visibile sia all’atleta che allo staff. L’uso dello strumento da polso consente all’atleta di tenere sotto controllo i parametri fisici e oggettivi di ogni seduta: in pratica, l’atleta si abitua a confrontare le proprie sensazioni alla frequenza cardiaca rilevata, alla velocità e al dislivello coperti. In questo modo è facile evitare di allenarsi quando non si è riposati e non si è smaltito l’allenamento precedente.

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Controllo

Al termine di ogni allenamento i dati del cardio-gps vengono trasferiti sul PC e resi disponibili in rete. In tal modo sia l’atleta che l’allenatore possono analizzarli e discuterli. E’ infatti molto utile disporre di numeri obiettivi a cui associare sensazioni soggettive.
Inoltre, da tempo stiamo raccogliendo dati relativi al recupero grazie ad app che analizzano la traccia ed il ritmo cardiaco. L’elaborazione di questi dati consente di capire se il sistema cardiaco ed i muscoli hanno effettivamente recuperato la fatica dell’allenamento precedente e se l’atleta è effettivamente pronto per affrontare un altro allenamento intenso.
La ripetizione della misura di massa grassa e massa muscolare con il metodo bioimpedenziometrico completa il quadro della situazione: è infatti noto che uno dei primi segni di sovrallenamento è la diminuzione della massa muscolare.

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Bilancio

Ormai sono trascorsi i primi due mesi dall’inizio dell’applicazione del metodo e le prime gare si avvicinano. Le sensazioni di Filippo sono buone e il sistema sembra funzionare bene. Perché tutto proceda per il meglio c’è comunque bisogno di una stretta collaborazione tra atleta e staff medico, ma Barazzuol è quel tipo di persona che ha dimestichezza con computer e tecnologie. Ovviamente, chi preferisce “andare a sensazione” non è adatto a questo tipo di progetto. Attendiamo con impazienza i primi riscontri sulla neve!

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C’è un lavoro silenzioso dietro i concerti esplosivi di Jovanotti. C’è, anche se non si vede. Al massimo si intuisce: dalle foto di Lorenzo su Instagram, da qualche video su Youtube. Il motore che lo fa scatenare sui palchi di mezza Italia ha un meccanico, anzi due: il fisioterapista Fabrizio Borra e il preparatore atletico Luca Borra, suo figlio. Fabrizio è uno storico amico di Vitalia, ha curato il top dello sport e degli spettacoli: da Alonso a Pantani, fino a Fiorello. Lo avevamo intervistato qui, stavolta siamo andati a trovarlo dietro le quinte delle tappe torinesi di “Lorenzo nei Palazzi”.

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Fabrizio, non parli mai con i giornalisti, per il blog di “Vitalia” fai eccezione?
Beh, è quasi un dovere, per seguire Jova il confronto con “il Doc” è molto utile.

Cioè?
Premessa: Lorenzo vive a New York, allenarlo a distanza non è proprio facile.

Come ci riuscite?
Abbiamo adottato la stessa tecnologia che usa Vitalia e che sfrutta un’app: “Omega Wave”. Funziona così: ogni mattina l’atleta indossa una fascia toracica, che grazie a un sensore ne valuta i parametri. Il sistema permette di capire se si è affaticati o se il lavoro del giorno prima è stato smaltito. È tutto informatizzato: ricevo i dati di Jova in Italia e definiamo il programma della giornata. Lo usiamo ogni giorno anche durante questo tour.

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Fabrizio Borra e il lettino torinese di Jova

Non sei solo un riabilitatore quindi.
Sono al suo fianco da vent’anni e mi occupo dei vari aspetti importanti per la sua condizione fisica: dalla schiena alla prevenzione di raffreddore e influenza, che sembrano un problema banale ma possono far saltare una tappa. Ovviamente il segreto è collaborare con tanti professionisti: dall’esperto della voce al medico dello sport. Chiedo spesso consigli a Massimo.

Jovanotti è un atleta?
Assolutamente sì. Metodico, preciso, determinato come i migliori che ho conosciuto. La stessa testa. E poi il movimento è una componente fondamentale della sua arte, lo usa per coinvolgere il pubblico. I suoi spettacoli sono una festa, la gente esce esausta: anche chi va per ascoltare finisce per ballare con lui. È il suo modo di fare musica.

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Quando parte non si ferma più.
Sono 2 ore e mezza di sforzo intenso: avanti e indietro su un palco di 100 metri quadri. Ha un po’ di recupero con i pezzi più lenti e i cambi costume. In quei momenti cerco di dargli qualche integratore.

A che tipo di gara si può paragonare una serata di Jova?
Più che la singola serata, il problema è il tour. Lorenzo ha 49 anni e nei palazzetti, ad esempio, farà 35 date in 50 giorni. Sono ritmi da Giro d’Italia o Tour de France. Nei giorni di “riposo” si viaggia, non c’è tregua.

Per voi cosa significa?
Lo gestiamo esattamente come si fa con i ciclisti: lo prepariamo bene prima dell’inizio e lo aiutiamo a recuperare durante la corsa.

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In camerino lo schema con gli esercizi di Jova. Ricordano i nostri!

Cosa prevede la preparazione?
Quando è in Toscana, a Cortona, tanta bicicletta, il suo sport preferito. A NY sarebbe impossibile e si esercita in palestra. Tutti i giorni un paio d’ore, su tre fronti: spinning, pilates e allenamento funzionale. Lo spinning serve per la capacità aerobica; il pilates, all’americana, cioè più dinamico del nostro, stimola la flessibilità. Il resto è per la forza. In pratica sviluppiamo tutte le abilità di base.

Ce n’è una su cui puntate?
Sì, dobbiamo esaltare la stabilità dinamica lombo-pelvica, la core stability, per intenderci. Questo perchè Lorenzo è alto e gran parte dei suoi movimenti sono saltelli, che sollecitano la zona lombare. Ha avuto parecchi problemi di schiena in passato. Nel suo programma di esercizi ci basiamo sul metodo del Technogym Ability Training messo a punto con Massimo e con “Cuzzo” (ndr Francesco Cuzzolin, intervista qui).

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Ti ha conosciuto per il mal di schiena?
No, vivevamo entrambi a Forlì e lui frequentava la mia palestra. Poi mi chiese una mano per il tour di quell’anno. Era il ’97 e già aveva capito l’importanza di curare la parte atletica. Un precursore…

E l’alimentazione?
È vegetariano: ma con pesce e uova reintegra le proteine. Dedica molte attenzione anche al cibo.

Torniamo alla ginnastica. Fa riscaldamento prima del concerto?
Una volta sì, ma abbiamo un po’ cambiato, non era tanto efficace. Adesso facciamo la “riattivazione” alle 18,30, cioè due ore e mezza prima della musica.

In cosa consiste?
È un circuito funzionale a basso impatto, con allungamento dinamico. Dura 35/40 minuti, lo prepara mio figlio Luca. Stiamo avendo ottimi risultati, Jova si sente meglio sul palco.

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E dopo lo spettacolo?
Il problema è recuperare velocemente. Quando finisce lo mandiamo nella vasca con il ghiaccio, una tecnica usata ormai in tutti gli sport. Così smorziamo le infiammazioni. Poi intervengo io, con la terapia manuale. Finisco all’una di notte.

È dura anche per te!
Impegnativo, come tutti i lavori. Anzi no: per me stare accanto a Lorenzo non è più un lavoro. Ormai c’è un rapporto di fratellanza.

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Con il freddo alle porte è ora di attrezzarsi per gli allenamenti indoor. Abbiamo già spiegato quanti vantaggi ci sono ad usare i rulli (qui), non resta che imparare a farlo al meglio. Ecco qualche consiglio per non perdere tempo (e ottenere risultati), ma soprattutto voglia (sì, il rischio di annoiarsi c’è). Buone pedalate invernali! 

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Scegliere bene il ciclosimulatore

Un ciclosimulatore sarà compagno di allenamento per diversi anni, meglio quindi sceglierlo di buona qualità e non lesinare sul prezzo. Le caratteristiche fondamentali sono: precisione nella misurazione della potenza, possibilità di interfacciarsi con PC o tablet, silenziosità, robustezza e stabilità. Meno importanti i vari programmi video che riproducono i percorsi outdoor: sembrano fantastici al momento della scelta, ma poi sono di scarso interesse.

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Avere un programma su misura

Potersi allenare con la misurazione della potenza consente di creare programmi personalizzati ed efficaci (ne abbiamo parlato qui). Lo schema di ogni seduta, in base al periodo dell’anno, dovrebbe contenere lavori al medio, alla soglia, salite forza-resistenza, ripetute massimali brevi. Questo tipo di allenamento è il vero antidoto alla noia da rulli. Senza dimenticare di usare il cardiofrequenzimetro per la misura della frequenza cardiaca (qui vi spieghiamo come si fa).

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Crearsi uno spazio

Il box in cantina, il garage, lo stanzino non sono certo i locali che invogliano di più all’allenamento. E’ vero: non tutti hanno la villa con 15 stanze o l’attico con finestre panoramiche. Ma ritagliarsi uno spazio confortevole in cui tenere sempre pronta la bici montata sul ciclosimulatore è di grande aiuto per far sì che il programma venga svolto con regolarità.

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Usare il ventilatore

Non ci stancheremo mai di ripeterlo: un buon ventilatore piazzato davanti è molto più efficace della temperatura bassa. Evita che si crei una bolla di aria calda intorno a noi e favorisce la dispersione del calore e del sudore.

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Aggiungere divertimento

Una TV o un tablet o anche il PC davanti a noi possono aiutarci a sentire meno la monotonia del muro di fronte. Comunque, torniamo a dirlo, è il programma che fa la differenza, magari con una buona musica nelle orecchie.

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Preparare le borracce

Partire per la seduta di allenamento con due borracce da 500 ml cariche di acqua e zuccheri a rapida assimilazione. Ci eviteremo di finire disidratati o di dover interrompere l’allenamento per correre in cucina a cercare qualcosa nel frigo.

La nostra proposta

  1. Test di soglia con misurazione del lattato (scopri come funziona) o test Conconi su ciclosimulatore professionale Magnetic Days.
  2. Programma personalizzato 
  3. Revisione periodica dei dati.

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Intervista a Francesco Cuzzolin, cinquantun anni e una vita a canestro. Amico e sostenitore di Vitalia, è la mens della preparazione atletica del basket azzurro. Collabora con il “Doc” Massarini nel programma di ricerca e sviluppo di Technogym: un team di eccellenze impegnate a scrivere il futuro del movimento, le cui intuizioni giungono, tramite il “Doc”, fino in via della Rocca.

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Italia, Europa, America. Ha allenato i Toronto Raptors, la Russia, la Lettonia, la Virtus Bologna e la Benetton Treviso. Il suo curriculum è un giro del mondo, trent’anni di pallacanestro con una sola bussola: “la passione. Quella che cerco di trasformare in qualità del lavoro. Quella dei bravi professori: l’unica cosa che ti ricorderai dopo la scuola”. Insegnare, imparare: per “Cuzzo” – come lo chiamano i suoi ragazzi – è la quotidianità. Dal 2011 preparatore fisico della nazionale maggiore, è anche responsabile dell’intero settore per la Fip e cura la formazione dei tecnici.

Cuzzolin, che fa il preparatore della nazionale quando la nazionale non gioca?

Viaggia. Sono appena tornato da New York, per vedere Bargnani nei Brooklyn Nets. Tra poco ripartirò per Denver, per Gallinari; quindi Sacramento, per Belinelli. Seguiamo i giocatori anche nei club, per coordinarci con il loro staff. La stagione degli azzurri dura due mesi, ma va preparata per un anno intero, studiando le realtà da cui provengono. E poi confrontarci ci fa bene.

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Insomma riuscite ad andare d’accordo con le società? Nel calcio sembra impossibile.

Puntiamo ad essere un riferimento, con standard molto elevati nelle procedure di allenamento, nella verifica delle prestazioni, nella didattica. Così ci siamo guadagnati la fiducia dei colleghi. Ormai è interesse (ed esigenza!) di tutti collaborare con la nazionale e il basket sta riuscendo a fare sistema.

Con che soldi?

Pochi. C’è la crisi, è vero, ma il fatto che manchino le risorse non significa che debbano mancare le idee.

Oltreoceano trovate la stessa disponibilità? 

Rapportarsi con l’NBA è più complesso, ma ci stiamo provando. Lì i giocatori sono aziende, e c’è il problema del calendario: troppe partite e non se ne vorrebbero aggiungere altre. Ecco perchè la paura delle nazionali…

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Dopo 82 giornate “Gallo & co.” vi arrivano stremati.

Negli Usa ci si allena poco e dunque spesso non si è pronti per giocare (ma lo si fa e basta). Una stagione americana logora molto di più di una europea. In ogni caso in nazionale l’urgenza è la stessa, per tutti: curare i sovraccarichi e rigenerare le motivazioni.

Agli ultimi Europei ci siete riusciti.

Si è sentito il sostegno del Paese. Grazie all’accordo con Sky e allo spazio che ci hanno riservato i giornali abbiamo avuto la giusta pressione: quella si traduce in volontà di essere produttivi. Il risultato finale è stato ottimo, il livello della competizione era veramente molto alto.

Ha vinto un oro con la Russia. Mica si emoziona per aver conquistato un preolimpico…

Ce lo siamo meritati. E con che fatica: due mesi lontani da casa, un traguardo importante, tante rinunce. E comunque ascoltare il proprio inno è un’altra cosa.

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Cosa?

La spinta emotiva fa la differenza. Con l’orgoglio di vestire la maglia azzurra tutto è più facile.

La testa: un preparatore dev’essere un po’ psicologo?

In questo mestiere è fondamentale costruirsi una professionalità a tutto tondo e saper collaborare. A me è sempre interessata la componente mentale. Ho investito molto su questo aspetto, come anche su quello riabilitativo e organizzativo.

E sulla vocazione internazionale.

Me l’ha trasmessa il “Doc”. Massarini è un mentore per me, sono stato con lui alla Technogym agli inizi della mia carriera. Mi ha aiutato ad allargare gli orizzonti e i contatti all’estero. Oggi è anche un carissimo amico!

A proposito di maestri, com’è “Cuzzo” in cattedra? La sua agenda è piena di corsi.

Sì la Federazione sta investendo seriamente sulla formazione e anche io sono impegnato parecchio. Ma stiamo poco in aula: la palestra viene prima. Offriamo un percorso poco nozionistico e molto vicino al campo.

Cioè?

Insistiamo sul “saper fare” e sul “saper far fare”. Sintetizziamo i contenuti teorici e le lezioni frontali, per dilatare la base esperienzale, sui vari piani: tecnico, tattico, motorio.

Con panchine migliori avremo presto nuovi campioni?

Speriamo. È un momento positivo: Bargnani, Gallinari, Gentile, Belinelli sono figure simboliche. Devono nascerne altre: lo sport vive di eroi…

Però?

Però il basket è un gioco di squadra. E l’eroe esiste solo in una squadra vincente.

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Il nostro nutrizionista Ettore Pelosi (lo presentiamo qui) ci illustra la sua “OmeoDieta”: come e perchè funziona, quali rinunce richiede e quanti (tanti!) vantaggi porta. Un metodo adatto agli atleti ma non solo. Buona lettura e buon appetito!

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L’OmeoDieta si sviluppa da alcuni anni sulla base delle nuove evidenze scientifiche nel campo dell’alimentazione e sulla base delle risposte osservate in ambulatorio nei pazienti e negli sportivi cui è stata adattata. Integra alimentazione e attività fisica e poggia il suo razionale su due principi fondamentali:

La qualità degli alimenti e la loro alternanza nell’arco della settimana sono i punti essenziali di OmeoDieta, una dieta che incoraggia a mangiare di tutto, senza focalizzarsi troppo sulle quantità (tranne in alcuni casi particolari, soprattutto per gli sportivi, nei quali queste possono essere fondamentali). Infatti, il risultato finale è dato dalle risposte ormonali determinate dall’alimento: risposte che sono maggiormente correlate con le sue caratteristiche nutrizionali, piuttosto che con le quantità che ne vengono assunte.

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Cosa vuol dire dieta “alcalinizzante”?

Per il nostro organismo un elevato apporto di sostanze alcaline è fondamentale e aiuta a prevenire l’insorgenza dell’acidosi metabolica latente, responsabile della riduzione generale della nostra qualità di vita, della stanchezza cronica (soprattutto quella mattutina) ed elemento predisponente allo sviluppo di numerose patologie tipiche della società del benessere. Ogni alimento può essere classificato sulla base del suo residuo in acidificante o alcalinizzante, all’interno di una scala definita PRAL (potential renal acid load): alimenti ricchi di proteine e anioni come i formaggi, la carne, il pesce e in minor misura i cereali e i legumi, sono acidificanti; alcalinizzanti quelli ricchi in cationi (frutta e verdura). Perciò una dieta in cui frutta e verdura tornano ad essere gli alimenti quantitativamente più rappresentati (come OmeoDieta o le diete su base vegetale), risulta alcalinizzante.

Qui un esempio di scala PRAL.

L’indice insulinico e l’indice/carico glicemico degli alimenti.

Indice e carico glicemico degli alimenti sono concetti ormai noti alla maggior parte degli addetti ai lavori in campo nutrizionale e non. Alcune diete molto famose sono state basate su di essi. Esprimono, rispettivamente, la velocità con cui il glucosio contenuto in una certa quantità di alimento passa nel sangue e la quantità totale di zuccheri presenti in quell’alimento che passa nel sangue. Le tabelle che esprimono per ogni alimento indice e carico glicemico chiariscono come oltre agli zuccheri semplici, ai primi posti, vi siano le farine e i cerali raffinati, ma anche pane e pizza, la maggior parte dei prodotti di pasticceria, ecc.

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L’indice insulinico di un alimento indica l’incremento dell’insulina che si ottiene a seguito dell’assunzione di 1000Kj (239 Kcal) dello stesso. Questo parametro è più significativo dei primi due; infatti, alimenti che non contengono zuccheri come lo yogurt e il latte presentano un indice insulinico uguale o superiore a quello del pane bianco. Lo studio della risposta insulinica determinata dagli alimenti è fondamentale per prevederne gli effetti complessivi sulla nostra salute.

Qui un esempio di tabella degli indici glicemici.

Dalla teoria alla pratica

Ricapitoliamo dunque le basi razionali dell’OmeoDieta. E’ una dieta:

  1. alcalinizzante
  2. costituita da alimenti e combinazioni alimentari di basso indice insulinico e glicemico
  3. povera di grassi saturi
  4. povera di sostanze pro-infiammatorie come glutine e grassi animali
  5. con apporto ridotto e controllato di sostanze nervine

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Principi che tradotti in azioni concrete diventano:

  1. mangiare in quantità libere verdure e alcuni frutti per alcalinizzare
  2. seguire prevalentemente una dieta dissociata, per ridurre l’indice insulinico e glicemico del pasto. Cioè utilizzare verdure e ortaggi in associazione a carboidrati complessi o proteine (esempio: riso venere con verdure saltate; minestra di lenticchie, petto di pollo al limone con verdure grigliate)
  3. limitare la carne, i formaggi, gli alimenti contenti strutto, burro, margarine, per ridurre i grassi saturi. Prediligere invece le proteine vegetali che si ritrovano nei cereali, nei legumi, nella frutta secca e in piccole, ma significative quantità, nelle diverse verdure, ortaggi, frutta.
  4. limitare il glutine, utilizzando spesso i cereali senza glutine e gli pseudo cereali a rotazione (pseudo cereali: grano saraceno, quinoa e amaranto; cereali senza glutine: riso, miglio, mais; cereali con glutine: frumento, farro, orzo, segale, avena e grano karasau).
  5. limitare le sostanze nervine come quelle contenute in caffè, tè, cacao, cola e alcol.

OmeoDieta: i grandi “no” 

“Dottore, posso fare qualche volta colazione al bar con cappuccino e cornetto?”
“No, perché questo classico della colazione ha un effetto iperinsulinemizzante e ipoglicemizzante. L’insulina infatti viene stimolata contemporaneamente da farina raffinata, zucchero e grassi idrogenati contenuti nel cornetto e da latte e zucchero del cappuccino…”
“Dottore… ma la pizza?”
“Devo proprio ripeterlo ;-)?”

Vuoi una dieta personalizzata? Prenota una visita con il dott. Pelosi.

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